Crescere nei momenti di aridità spirituale
Daniele Scarabel
Pastore
La scorsa settimana abbiamo parlato di come la vita di Giuseppe assomigliasse a una corsa sulle montagne russe, con alti e bassi. Eppure, abbiamo visto che in ogni fase della sua vita Dio era con Giuseppe e Giuseppe era con Dio. Fu questo suo rapporto intimo con Dio che gli permise sopravvivere, se non di prosperare, sia negli alti che nei bassi.
Il capitolo di Genesi 40 è però sicuramente un capitolo che descrive un periodo di desolazione nella vita di Giuseppe. Sono periodi che conosce bene anche ogni credente che è in Cristo da più tempo. È quell’esperienza dove viviamo Dio lontano e nel quale sperimentiamo un senso di aridità spirituale. E se siamo onesti, non è piacevole trovarsi in una fase simile. Ma ciò che vorrei trasmettervi oggi, è che questi periodi di desolazione, di aridità spirituale, sono altrettanto importanti, se non essenziali, per la nostra crescita spirituale.
È nella desolazione che la relazione con Dio diventa più profonda
Dopo queste cose, il coppiere e il panettiere del re d’Egitto offesero il loro signore, il re d’Egitto. Il faraone s’indignò contro i suoi due ufficiali, contro il capo dei coppieri e il capo dei panettieri; e li fece mettere in carcere nella casa del capo delle guardie, nella stessa prigione dove Giuseppe stava rinchiuso. Il capitano delle guardie li affidò alla sorveglianza di Giuseppe, il quale li serviva. Essi rimasero in prigione per un certo tempo. (Genesi 40:1-4)
Come abbiamo visto la volta scorsa, Dio era con Giuseppe e Giuseppe era con Dio, questo lo portò a fiorire ovunque fosse. Era schiavo nella casa di Potifar? Eccolo svolgere le più umili mansioni e fiorire. Era rinchiuso nel carcere del re? Eccolo diventare un fedele servitore nel carcere. Giuseppe restò in carcere probabilmente un bel po’ di tempo, finché un giorno ecco che il coppiere e il panettiere del faraone finirono con lui in prigione e furono affidati alla sua sorveglianza.
Giuseppe stava dunque “facendo carriera” in carcere, ma era pur sempre ancora prigioniero. Eppure, Dio stava operando in lui. Spesso diamo per scontato che Dio si muova nella nostra vita solo quando le cose vanno bene, e non teniamo conto del fatto che Dio sta operando anche quando sentiamo la distanza, la separazione, la sensazione che Dio sia stato in qualche modo allontanato da noi. Ma è proprio in quelle fasi della vita che la nostra relazione con Lui ha le maggiori opportunità di crescita.
Vi do un piccolo paragone che potrebbe aiutare a capire meglio il concetto. Chi di voi è sposato da parecchi anni capirà. All’inizio di una relazione è tutto un susseguirsi di momenti gioiosi: il primo bacio, la prima uscita assieme, la prima vacanza, il primo appartamento, il primo figlio… È quella bella fase dove tutto è nuovo, dolce e bello.
Ma, se penso al mio matrimonio che dura da 26 anni, non ci sono stati solo momenti di profonda gioia. Ci sono state sfide e difficoltà che abbiamo attraversato, momenti di incertezze e situazioni dalle quali non avevamo idea di come uscirne. Ma posso dire che, senza tutte quelle fasi di desolazione nel matrimonio, la nostra relazione non sarebbe mai diventata così forte e profonda come lo è oggi.
La profondità del matrimonio non deriva solo dalle gioie, dalle belle esperienze fatte assieme, bensì anche dal desiderio di voler invecchiare assieme nel bene e nel male, nelle gioie e nei dolori. Sono anche cose sciocche come l’alito mattutino o le scoregge fatte a letto che ci insegnano ad amare l’altro per quello che è. È quel senso di familiarità e di complicità coniugale che aggiunge profondità al matrimonio.
Lo stesso vale per la nostra relazione con Dio. Se ti aspetti sempre e solo fasi di gioia spirituale, resterai insoddisfatto e immaturo spiritualmente. Se invece sei consapevole che queste fasi di desolazione spirituale sono previste da Dio e servono a farti maturare, riuscirai ad accettarle meglio. Non dico che sia facile, ma saperlo ti aiuterà a non pensare che ci sia per forza qualcosa di sbagliato in te e men che meno in Dio. Un autore la mette così:
Dio, che è ovunque, non ci lascia mai. Eppure, a volte sembra essere presente, a volte assente. Se non lo conosciamo bene, non ci rendiamo conto che può essere più presente per noi quando è assente che quando è presente.
Non ha senso? Quante volte ti sei già trovato nella desolazione a dire: “Dio, dove sei?”, senza ottenere risposta. Eppure, col senno di poi, ti rendi conto che è proprio in quei momenti che Dio stava operando maggiormente in te. Se presti attenzione a come Dio sta agendo in quelle fasi della tua vita riuscirai anche a sottometterti più facilmente a questo processo di maturazione spirituale perché, come dice Davide nel Salmo 34:
Il SIGNORE è vicino a quelli che hanno il cuore afflitto, salva gli umili di spirito. (Salmo 34:18)
Se la accogliamo come parte della nostra vita, la desolazione è in grado di produrre in noi un senso di gioia, di maturità e di profondità che ci porta ancora più vicino a Dio.
Ma questo non è tutto, perché nella desolazione lo Spirito Santo opera nel profondo del nostro cuore…
Nella desolazione lo Spirito Santo smaschera l’opera della carne
In una medesima notte, il coppiere e il panettiere del re d’Egitto, che erano rinchiusi nella prigione, ebbero tutti e due un sogno, un sogno per uno, e ciascun sogno aveva il suo significato particolare. Giuseppe, venuto la mattina da loro, li guardò e li vide tutti turbati. Interrogò allora gli ufficiali del faraone che erano con lui in prigione nella casa del suo padrone, e disse: «Perché oggi avete il viso così triste?» Quelli gli risposero: «Abbiamo fatto un sogno e non c’è nessuno che ce lo interpreti». Giuseppe disse loro: «Le interpretazioni non appartengono a Dio? Raccontatemi i sogni, vi prego». (Genesi 40:5-8)
Giuseppe aveva una certa esperienza con i sogni. Se ricordate, al capitolo 37 aveva fatto alcuni sogni che lo avevano messo nei guai con i suoi fratelli, ma durante questo periodo di desolazione spirituale Dio stava lavorando nel cuore. Così Giuseppe diede anche in questa occasione gloria a Dio, sottolineando che sarebbe stato Dio a dare una spiegazione ai loro sogni.
Il capo dei coppieri raccontò poi a Giuseppe il sogno. Senza entrare nei dettagli, l’interpretazione era relativamente semplice e Giuseppe fu ben lieto di comunicargliela: entro tre giorni il faraone lo avrebbe ristabilito nella sua funzione di coppiere. Poi anche il panettiere ebbe un sogno e Giuseppe gli diede anche la sua interpretazione, solo che questa volta non erano buone notizie: il panettiere sarebbe stato giustiziato entro tre giorni.
Nel frattempo, lo Spirito Santo aveva però iniziato un altro lavoro in Giuseppe, ovvero smascherare le opere della carne. Leggiamo infatti ciò che Giuseppe disse al coppiere del re:
Ma ricordati di me, quando sarai felice, e sii buono verso di me, ti prego; parla di me al faraone e fammi uscire da questa casa, perché io fui portato via di nascosto dal paese degli Ebrei e anche qui non ho fatto nulla per essere messo in questo sotterraneo. (Genesi 40:14-15)
Qui vediamo Giuseppe tentarle tutte pur di uscire di prigione. E questo ci mostra uno dei grandi problemi di quando ci troviamo in una fase di desolazione spirituale: tutto in noi vuole andarsene da lì, come se fosse la cosa migliore per noi. Ma se Dio ha permesso che fossimo in quella situazione, se Dio è lì presente con noi e sta lavorando in noi, siamo davvero sicuri che uscirne al più presto sia la soluzione migliore? Eppure, è una reazione molto naturale, perché vogliamo quell’intimità con Dio. La desideriamo. Ne abbiamo bisogno. Ci manca.
Purtroppo, spesso la nostra risposta nella desolazione tende ad essere moralistica, nel senso che ci sforziamo per cercare di riacquisire il livello di spiritualità del quale sentiamo mancanza. Pensi poi magari di aver bisogno di una nuova chiesa, di nuove canzoni di adorazione che ti ispirano maggiormente, di una nuova routine nella lettura della Bibbia… Il punto è che rischiamo di permettere alla carne di prendere il sopravvento, come dice Paolo in Galati 3:
Siete così insensati? Dopo aver cominciato con lo Spirito, volete ora raggiungere la perfezione con la carne? (Galati 3:3)
Non cedere all’inganno di voler giungere alla perfezione con la carne, ovvero prendendo tu in mano la situazione. Pensaci la prossima volta che ti trovi in una situazione simile: invece di cercare disperatamente una via d’uscita, perché non dire: “Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Però non la mia volontà, ma la tua sia fatta” (Luca 22:42)?
È nella desolazione che maturiamo spiritualmente
Il gran coppiere però non si ricordò di Giuseppe e lo dimenticò. (Genesi 40:23)
Tutti gli sforzi di Giuseppe si rivelarono vani e finì col restare in prigione per almeno altri due anni, come leggiamo all’inizio del capitolo 41. Ma sapete chi non lo ha dimenticato? Dio non ha dimenticato Giuseppe. Dio non si è perso nulla. Dio era presente e stava facendo qualcosa nella sua vita. Quando le cose vanno bene, non pensiamo nemmeno al profondo lavoro che è necessario in ognuno di noi, ma è lì che Dio si manifesta. Ecco perché è importantissimo conoscere al meglio Dio e il suo carattere. Quindi, cosa sappiamo essere vero di Dio?
Sappiamo che Dio è immutabile. È lo stesso ieri, oggi e per sempre. Sappiamo che non ci lascerà mai né ci abbandonerà. Sappiamo che ha contato ogni capello del nostro capo. Sappiamo che raccoglie ogni nostra lacrima nell’otre suo. Comprende da lontano ogni nostro pensiero. Non possiamo fuggire dalla sua presenza. Siamo stati sigillati con lo Spirito Santo.
Cosa altro sappiamo di Dio? Che è sempre all’opera nella nostra vita, che ci ha predestinati a essere conformi all’immagine del Figlio suo. E questo significa che c’è tanto lavoro da fare. Michelangelo disse, a proposito della sua famosa scultura del David, che il David era lì nella roccia, e che aveva semplicemente scalpellato via tutto ciò che non era David. Ebbene, posso essere sincero? Dio ha molto da scalpellare per togliere tutto ciò che non è Cristo in noi. Ma sappiamo anche che “colui che ha cominciato in voi un’opera buona, la condurrà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù” (Filippesi 1:6).
Se dunque ti trovi in una fase di desolazione spirituale, cosa potrebbe volerti insegnare il Signore? Sappi che il Signore è lì con te. Se Lui stesso ha deciso di toglierti il biberon del latte spirituale, per prepararti a consumare più cibo solido spirituale, è perché vuole farti maturare. Perché sii sincero, pensa ai momenti in cui sei cresciuto di più spiritualmente: è stato attraverso la gioia o attraverso le lacrime?
Ora non pensare però di dover andare alla ricerca di una fase di desolazione spirituale solo per tornare ad essere più vicino a Dio. Non stiamo promuovendo il masochismo spirituale. Se è Dio a permetterlo è un conto, ma non dobbiamo andare da soli a metterci nei guai. E se sei finito in quella situazione perché tu stesso ti sei allontanato da Dio, sia perché hai permesso al peccato di prendere il sopravvento, sia perché hai spostato le tue priorità dalle cose di Dio a quelle del mondo o perché hai pensato di poter fare di meglio da solo, sappi che il Signore ti sta aspettando a braccia aperte, come il padre stava aspettando che il figlio prodigo tornasse a casa. Prendi la decisione oggi stesso di abbandonare il peccato e di tornare da Lui.
Dove ti trovi in questo momento su una scala tra desolazione e gioia spirituale? Qualunque sia la tua situazione attuale, apri il tuo cuore al Signore! In Colossesi 2 leggiamo:
Come dunque avete ricevuto Cristo Gesù, il Signore, così camminate in lui; radicati, edificati in lui e rafforzati dalla fede, come vi è stata insegnata, abbondate nel ringraziamento. (Colossesi 2:6-7)
L’invito di Paolo è che, alla luce del fatto che hai ricevuto Cristo come Signore della tua vita, ora puoi anche camminare in Lui. La tua identità è quella di un figlio, di una figlia di Dio in Cristo. Questo è ciò che sei perché Cristo ha dato la sua vita per te. Ora permetti a questa verità di diventare realtà nella tua vita. Radicato, edificato e rafforzato dalla fede in Cristo. E se ti manca la forza di aggrapparti a Dio, sii onesto con Lui, digli: “Io credo Signore; ma vieni in aiuto alla mia incredulità!”.
Vorrei concludere invitandoti a una relazione più profonda con Dio, nella quale Lui possa rivelarsi a te sia nei momenti di gioia, che in quelli di dolore, perché è abbracciando Dio in questo processo che cominciamo a sperimentare il cambiamento profondo che deve avvenire in noi, in modo da poter essere fedeli a Dio, qualunque sia la situazione nella quale Lui ci mette.
Amen