Dio è fedele nonostante le nostre scelte
Daniele Scarabel
Pastore
La scorsa settimana, nel capitolo 29, abbiamo visto come Labano, suocero di Giacobbe, lo ingannò facendogli sposare entrambe le sue figlie in cambio di quattordici anni di lavoro. La poligamia non era ciò che Giacobbe voleva, ma il suo desiderio di sposare Rachele era più grande del suo desiderio di obbedire a Dio.
Così Giacobbe si ritrovò con quattro donne, di cui solo una amata, che vivevano nella stessa casa e si contendevano il suo affetto. E soprattutto con due mogli disperate: Lea perché Giacobbe non la amava e Rachele perché non riusciva ad avere figli. Tutto ciò e anche il loro comportamento in questi capitoli avranno delle conseguenze, ma vedremo anche la grazia continuare a trionfare nella vita di Giacobbe…
La nostra ingiustizia fa risaltare la giustizia di Dio
Il SIGNORE, vedendo che Lea era odiata, la rese feconda; ma Rachele era sterile. Lea concepì, partorì un figlio e lo chiamò Ruben, perché disse: «Il SIGNORE ha visto la mia afflizione; ora mio marito mi amerà». (Genesi 29:31-32)
Il conflitto tra le due mogli fu sin da subito evidente, ma il resto del capitolo 29 e gran parte del capitolo 30 assomiglia più a una delle peggiori telenovele. A Lea nacquero quattro figli, Ruben, Simeone, Levi e Giuda, tramite i quali sperava di ottenere le attenzioni del marito. “Poi cessò d’aver figli” e così leggiamo che…
Rachele, vedendo che non partoriva figli a Giacobbe, invidiò sua sorella, e disse a Giacobbe: «Dammi dei figli, altrimenti muoio». Giacobbe s’irritò contro Rachele, e disse: «Sono forse io al posto di Dio che ti ha negato di essere feconda?» (Genesi 30:1-2)
Rachele si sentiva offesa e umiliata, la sua invidia non le permetteva di godere delle benedizioni che aveva: l’amore di Giacobbe. Nella sua invidia, aveva dimenticato che la sua sterilità era opera di Dio, che solo lui dà la vita. La sua invidia stava accecando il suo cuore. E così diede a Giacobbe la sua serva Bila, che gli partorì due figli: Dan e Neftali.
Alla loro nascita Rachele disse: “Dio mi ha reso giustizia, ha anche ascoltato la mia voce e mi ha dato un figlio” (Genesi 30:6) e poi: “Ho sostenuto contro mia sorella lotte straordinarie e ho vinto” (Genesi 30:8). Il tutto non era che una competizione tra sorelle invidiose. Dio non c’entrava nulla in tutta questa storia. Lea decise, infatti, di dare a Giacobbe la sua serva Zilpa, che gli partorì altri due figli: Gad e Ascer.
In seguito, vediamo Lea e Rachele lottare per delle mandragole, che a quei tempi erano considerati frutti afrodisiaci o che favorivano la fertilità. Era pura superstizione, ma Rachele convinse Lea a dargliele nella speranza di rimanere incinta, concedendo alla sorella di poter passare di nuovo una notte con Giacobbe. Ma a restare incinta fu Lea… Dapprima con Issacar, poi con Zabulon e, infine, con Dina. Rachele non aveva ancora partorito un solo figlio! Poi però…
Dio si ricordò anche di Rachele; Dio l’esaudì e la rese feconda. Ella concepì e partorì un figlio, e disse: «Dio ha tolto la mia vergogna». E lo chiamò Giuseppe, dicendo: «Il SIGNORE mi aggiunga un altro figlio». (Genesi 30:22-24)
Finalmente ecco il tanto desiderato figlio Giuseppe, ma Rachele non era soddisfatta, ne voleva subito un altro. Questo capitolo è pieno di peccato. Giacobbe restò passivo nei confronti della lotta tra le due mogli, dando vita a una malsana rivalità tra i loro figli. Lea e Rachele furono invece divorate da invidia, odio e ingratitudine.
Pensaci: il popolo di Israele uscì da questa famiglia totalmente disfunzionale e Gesù nacque dalla tribù di Giuda, da uno dei figli di Lea, la moglie non amata! Come disse Paolo, “la nostra ingiustizia fa risaltare la giustizia di Dio” (Romani 3:5). Ma ricordiamo che queste storie non sono nella Bibbia solo per far risaltare la giustizia di Dio, bensì anche per permetterci di imparare dai loro errori, senza dover affrontare lo stesso dolore e le stesse conseguenze.
Dio porta a compimento l’opera che ha iniziato
Il resto del capitolo è dedicato alla descrizione di come Giacobbe divenne ricchissimo. La famiglia di Giacobbe era grande, ma Giacobbe stesso non possedeva nulla, siccome aveva sempre solo lavorato per Labano e non era nemmeno ancora nel posto che Dio gli aveva promesso. Così chiese a Labano di lasciarlo partire per tornare a casa sua, nel suo paese, con sua moglie e i suoi figli. Ma Labano, da vero affarista, chiese a Giacobbe quale fosse il prezzo per farlo restare. Giacobbe rispose:
Tu sai in che modo ti ho servito e quello che è diventato il tuo bestiame nelle mie mani. Infatti quello che avevi prima della mia venuta era poco, ma ora si è molto accresciuto. Il SIGNORE ti ha benedetto dovunque io ho messo il piede. Ora, quando lavorerò anch’io per la mia casa?» (Genesi 30:29-30)
L’unica preoccupazione di Labano era quella di perdere la propria ricchezza. Il suo unico desiderio era di accrescere la prosperità che arrivava dalla presenza di Giacobbe. E così Labano disse per la seconda volta: “Fissami il tuo salario e te lo darò”. Il piano di Giacobbe era complicato: avrebbe continuato a lavorare per lui in cambio di tutte le capre vaiolate e macchiate e di tutte le pecore nere, macchiate e vaiolate del suo gregge e di quelle che sarebbero nate con questi difetti dal suo gregge.
A quanto pare, la maggior parte delle pecore di un gregge erano tutte bianche e la maggior parte delle capre erano completamente nere e senza macchie. In altre parole, Giacobbe chiese di poter tenere solo gli animali meno pregiati del gregge e Labano accettò subito. Ma, invece di dare a Giacobbe ciò che gli aveva chiesto, separò le pecore e le capre meno pregiate dal gregge e le affidò ai suoi figli, mettendo tre giorni di viaggio tra i due greggi.
Ma, come scopriremo più avanti, era stato Dio stesso a dirgli che il gregge avrebbe prodotto molti di questi animali di colore non uniforme (Genesi 31:7-12). Solo che Giacobbe usò poi un metodo poco ortodosso o addirittura superstizioso per influenzare gli animali affinché partorissero agnelli e capretti del colore che lui desiderava: prese dei rami dai quali staccò delle strisce di corteccia e li mise nell’acqua davanti alle pecore e alle capre in calore che venivano a bere.
Alla fine, Dio fu comunque fedele e donò a Giacobbe un gregge che divenne sempre più numeroso, facendo sì che tutte le capre nere partorissero una prole a strisce, a macchie e a chiazze e che le pecore bianche partorissero agnelli neri. Ma come sappiamo, fu Dio, e non l’espediente con i bastoni usato da Giacobbe, a far sì che ottenne tali risultati e l’uso dei bastoni era semplicemente il tentativo di Giacobbe di avere il controllo sulla benedizione che avrebbe ricevuto da Dio.
Tutto ciò rese Giacobbe “ricchissimo, ed ebbe greggi numerose, serve, servi, cammelli e asini” (Genesi 30:43). Un netto contrasto con l’uomo che era arrivato a Caran senza un soldo e senza nulla da offrire a Labano in cambio di sua figlia come moglie, se non la disponibilità a lavorare per sette anni per lui. Dio aveva adempiuto la sua promessa.
Credo che siano due gli insegnamenti che possiamo trarre da questa storia. Il primo è che serviamo un Dio fedele. Quante volte Dio è stato fedele nella tua vita, nonostante anche tu, come Giacobbe, abbia riposto solo metà o anche meno della metà della tua fiducia in Lui? O come scrive Paolo agli Efesini: “E ho questa fiducia: che colui che ha cominciato in voi un’opera buona, la condurrà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù” (Filippesi 1:6).
Dio è fedele, ma le nostre scelte hanno conseguenze
Sono così felice che Dio non pensi come noi. Perché, sinceramente, noi al suo posto avremmo rinunciato a Giacobbe molto tempo fa. Perché Giacobbe è proprio come dice il vecchio adagio che il lupo perde il pelo ma non il vizio.
La realtà è però che Dio non è come noi, ma noi siamo come Giacobbe. Sono sicuro che anche nella tua vita ci sono situazioni che ti assillano e che continuano a presentarsi. O che ci sono cose sbagliate che continui a ripetere, anche se sai che non dovresti. Ebbene, vorrei incoraggiarti: il tuo Dio è fedele perché, come dice Pietro, “è paziente verso di voi, non volendo che qualcuno perisca, ma che tutti giungano al ravvedimento” (2 Pietro 3:9).
Ma questo è solo un lato della medaglia! Perché l’altro insegnamento che possiamo trarre da questo capitolo è che ogni nostra decisione, azione, scelta o comportamento ha delle conseguenze! C’è un prezzo da pagare. Dio continua ad essere fedele, ma ciò che facciamo può comunque avere ripercussioni. Ed è ciò che vediamo qui. In Galati 6 leggiamo:
Non vi ingannate; non ci si può beffare di Dio; perché quello che l’uomo avrà seminato, quello pure mieterà. Perché chi semina per la sua carne, mieterà corruzione dalla carne; ma chi semina per lo Spirito mieterà dallo Spirito vita eterna. (Galati 6:7-8)
Nella vita di Giacobbe non c’è dubbio che abbia trascorso una vita a seminare per la sua carne e il prezzo lo hanno pagato i suoi figli, come vedremo le prossime settimane. Dunque, entrambe le cose possono essere vere contemporaneamente: Dio è fedele e le nostre decisioni hanno delle conseguenze. Parlando della nostra responsabilità e delle nostre decisioni individuali, è troppo facile buttare tutto sulla fedeltà di Dio. Ma il Vangelo ci riporta alla nostra responsabilità, ci porta ad imparare dalla fedeltà di Dio e dagli errori di un uomo come Giacobbe, per non dover subire le sue stesse conseguenze. O come dice Paolo nella lettera ai Romani:
Che diremo dunque? Rimarremo forse nel peccato affinché la grazia abbondi? No di certo! Noi che siamo morti al peccato, come vivremmo ancora in esso? … Così anche voi fate conto di essere morti al peccato, ma viventi a Dio, in Cristo Gesù. Non regni dunque il peccato nel vostro corpo mortale per ubbidire alle sue concupiscenze. (Romani 6:1-2.11-12)
Ciò che Dio sta facendo attraverso lo Spirito Santo che vive in te che credi in Cristo, è aiutarti a riconoscere che anche tu hai la tendenza e la propensione a vivere come Giacobbe nella carne. E ciò che il Vangelo ti dice è: non hai più bisogno di farlo, perché Cristo è morto per noi in croce per permetterci di seminare per lo Spirito.
Ma se voglio seminare per lo Spirito, devo riconoscere che, come dice Paolo, “in me, cioè nella mia carne, non abita alcun bene; poiché in me si trova il volere, ma il modo di compiere il bene, no” (Romani 7:8), devo riconoscere che ho una tendenza naturale nel fare le cose. Se mi lanci una palla, te la lancerò con la mano destra. Questa è la mia tendenza naturale. Se mi lanci una palla e mi dici di tirarla con la mano sinistra, ne uscirà qualcosa di molto imbarazzante.
Così è nella vita: mietere corruzione dalla carne è ciò che ci viene naturale. Seminare per lo Spirito invece no. Per questo abbiamo bisogno di andare ogni giorno da Dio dicendo: “Signore, so ciò che mi viene naturale fare, ma so anche che non è ciò che vuoi da me. Perciò, Signore, aiutami ad essere più naturale nel fare ciò che non mi viene naturale, ovvero seminare per lo Spirito”.
“Insegnami come potrebbe essere svegliarmi il mattino e leggere la Bibbia, invece di guardare Instagram. Insegnami cosa significherebbe rispondere in preghiera invece che con rabbia a una situazione che mi innervosisce. Insegnami come sarebbe a non dimenticarmi di te durante la giornata, mentre mi accingo ad affrontare una dura giornata di lavoro. Mostrami come sarebbe se ti chiedessi di camminare oggi al mio fianco.”
“Signore aiutami a fare qualunque cosa alla tua gloria, in modo che io possa seminare per lo Spirito e mietere dallo Spirito vita eterna, raccogliendo, non solo per me, ma anche per la mia famiglia, i miei figli, i miei vicini, i miei colleghi di lavoro…, il frutto dello Spirito, che è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mansuetudine, autocontrollo.”
Credo che questa sia la lezione principale che possiamo imparare da questo testo, ovvero che Dio è fedele, nonostante le nostre mancanze, ma anche che possiamo e dobbiamo imparare dagli errori di Giacobbe e della sua famiglia, senza dover affrontare il loro stesso dolore e le loro stesse conseguenze. Sei pronto a permettere che Dio, tramite il suo Spirito Santo, ti aiuti a fare ciò che va contro la tua tendenza naturale, ovvero a seminare per lo Spirito?
Amen