Dio sceglie. Dio fa misericordia.

Daniele Scarabel
Pastore
Ci sono domande che ci portiamo dentro, anche se non le diciamo ad alta voce: “Perché alcune persone credono, e altre no? Perché, anche quando diamo tutto, preghiamo, amiamo, testimoniamo… sembra che certi cuori restino chiusi? E che dire di quelle persone a cui vogliamo bene, ma che sembrano rifiutare Dio… proprio loro, che ci stanno più a cuore?”
Dopo l’esplosione di gioia e certezza del capitolo 8 (“Niente potrà separarci dall’amore di Dio”), Paolo ci mostra ora la tristezza che ha nel cuore per il suo popolo, Israele.
In questo testo ci sono verità profonde, a volte anche scomode. Ma soprattutto… troviamo una rivelazione potente sul cuore di Dio: un Dio che fa misericordia, che non si dimentica delle sue promesse e che sceglie non per merito, ma per grazia.
Ed è proprio questa verità – anche quando ci sfugge – che può sostenerci, consolarci, spingerci a intercedere… e a fidarci.
Un dolore che nasce dall’amore
Dico la verità in Cristo, non mento – poiché la mia coscienza me lo conferma per mezzo dello Spirito Santo –, ho una grande tristezza e una sofferenza continua nel mio cuore; perché io stesso vorrei essere anatema, separato da Cristo, per amore dei miei fratelli, miei parenti secondo la carne, cioè gli Israeliti, ai quali appartengono l’adozione, la gloria, i patti, la legislazione, il servizio sacro e le promesse; ai quali appartengono i padri e dai quali proviene, secondo la carne, il Cristo, che è sopra tutte le cose Dio benedetto in eterno. Amen! (Romani 9:1-5)
Qui Paolo condivide un dolore profondo: il suo popolo ha rifiutato il Messia. Un dolore che nasce da amore e che lo spinge all’intercessione. Invoca Cristo e lo Spirito Santo come testimoni per dire: rinuncerei a tutti i benefici di conoscere Cristo, se questo potesse significare la salvezza dei miei fratelli e sorelle.
Con questa frase, che a noi può sembrare estrema, Paolo ci mostra un cuore disposto a pagare un prezzo altissimo per chi ama: il suo popolo, gli Israeliti. Un popolo che ha ricevuto ogni privilegio spirituale… eppure li ha rifiutati. Pensate a quanti doni straordinari Dio ha messo nelle loro mani: l’adozione come figli, la gloria della sua presenza nel tabernacolo, i patti con Abramo e Mosè, la Torah, il culto nel tempio con i sacrifici, le promesse che annunciavano il Messia.
E infine, il dono più grande: Gesù Cristo, Figlio di Davide, nato secondo la carne da Israele. Ma questi doni, invece di essere accolti, sono stati respinti. Soprattutto il dono centrale — il Messia stesso — non è stato riconosciuto.
Noi, oggi, forse pensiamo a Israele solo come a una nazione geopolitica. O peggio, ci lasciamo trascinare da simpatie politiche, senza alcun filtro spirituale. Ma Paolo ci riporta a uno sguardo molto più profondo: Israele è il popolo da cui proviene — “secondo la carne” — il Cristo stesso. Eppure, proprio quel popolo lo ha rifiutato.
E Paolo lo sapeva bene. Un tempo era tra i più accesi oppositori della chiesa. Era convinto che Gesù fosse un inganno e che i suoi seguaci fossero una minaccia da estirpare. Ma quando ha incontrato Cristo sulla via di Damasco, la sua vita è stata capovolta: il persecutore è diventato apostolo; l’odio si è trasformato in amore; la durezza in lacrime di compassione.
Chi ha davvero compreso la grazia non resta indifferente, e non dirà mai: “Peggio per loro”.
Il suo atteggiamento ricorda Mosè che, dopo la storia con il vitello d’oro, pregò così:
“Perdona ora il loro peccato! Se no, ti prego, cancellami dal tuo libro che hai scritto!” (Esodo 32:32)
Ricorda anche Gesù, che piange su Gerusalemme e dice:
“Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi quelli che ti sono mandati, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come la chioccia raccoglie i suoi pulcini sotto le ali; e voi non avete voluto!” (Matteo 23:37)
Chi è stato trasformato dalla grazia non si accontenta della propria salvezza. Desidera che anche altri possano scoprire la bellezza di appartenere a Cristo, l’unico che salva e trasforma.
E allora pensiamo a quanti, ancora oggi, hanno ricevuto segni e occasioni dell’amore di Dio… ma non li hanno accolti.
Non è solo la storia d’Israele: forse è anche quella di tuo fratello, di tua figlia, del tuo collega.
C’è qualcuno per cui il tuo cuore soffre, come soffriva quello di Paolo? Chiedi allo Spirito Santo di riempirti di questo amore che sa piangere per chi è lontano da Cristo.
Non possiamo convertire nessuno… ma possiamo amare, intercedere, continuare a sperare. Come Paolo. Come Gesù.
Dio resta fedele, anche quando Israele rifiuta
E proprio qui, nel mezzo del dolore di Paolo — e forse anche del nostro — si fa strada una domanda che non possiamo ignorare: se Israele ha ricevuto così tanto, eppure ha rifiutato Cristo… allora le promesse di Dio sono venute meno?
Però non è che la parola di Dio sia caduta a terra; infatti non tutti i discendenti d’Israele sono Israele, né, per il fatto di essere stirpe di Abraamo, sono tutti figli di Abraamo; anzi: «È in Isacco che ti sarà riconosciuta una discendenza». Cioè, non i figli della carne sono figli di Dio; ma i figli della promessa sono considerati come discendenza. Infatti questa è la parola della promessa: «In questo tempo verrò, e Sara avrà un figlio». Ma c’è di più! Anche a Rebecca avvenne la medesima cosa quando ebbe concepito figli da un solo uomo, da Isacco nostro padre; poiché, prima che i gemelli fossero nati e che avessero fatto del bene o del male (affinché rimanesse fermo il proponimento di Dio, secondo elezione, che dipende non da opere, ma da colui che chiama), le fu detto: «Il maggiore servirà il minore»; com’è scritto: «Ho amato Giacobbe e ho odiato Esaù». (Romani 9:6-13)
Dopo averci parlato del suo dolore per l’incredulità di Israele, Paolo ci pone una domanda scomoda: Dio ha forse fallito? Le sue promesse non valgono più?
Per rispondere, non parte da un ragionamento complicato, ma dalla storia stessa di Israele. Con Abramo, ad esempio, non tutti i figli entrarono nella promessa: Dio scelse Isacco, non Ismaele. E la stessa cosa accadde con Isacco e Rebecca: due gemelli, stesso padre, stessa madre… ma Dio scelse Giacobbe, prima ancora che nascessero. Non perché Giacobbe fosse migliore, ma per mostrare che la sua scelta dipende solo dal suo piano, non dalle opere umane.
Paolo lo dice chiaramente: Dio chiama “non in base alle opere, ma secondo la sua elezione”. E poi cita una frase che può urtare: “Ho amato Giacobbe e ho odiato Esaù”. Qui però “odiare” non vuol dire provare disprezzo: nella Bibbia spesso questi termini indicano una scelta preferenziale. Dio ha scelto uno per un compito preciso.
Noi siamo abituati a pensare che le benedizioni vadano a chi se le merita. Ma Paolo ci ricorda che Dio agisce secondo un piano di grazia, che non segue i nostri criteri. E questo non dovrebbe disturbarci, ma consolarci. Perché, se Dio scegliesse in base a ciò che siamo o facciamo, nessuno di noi resisterebbe.
Ma se sceglie per grazia, possiamo riposare nella sua fedeltà… anche quando non capiamo. Anche quando sembra che nulla cambi.
Anche quando, come Paolo, vediamo persone care allontanarsi da Dio o restare indifferenti nonostante tutto.
Forse anche tu ti sei chiesto: “Perché quella persona sì e un’altra no? Perché mio figlio si è allontanato, mentre il figlio di altri ha creduto? Perché ho pregato tanto… e non è successo nulla?”.
Paolo non ci dà tutte le risposte. Ma ci lascia una certezza: le promesse di Dio non vengono meno. Dio resta fedele, anche quando i frutti non si vedono.
È come quando un insegnante entra in classe e sceglie un bambino per una dimostrazione. Gli altri si guardano e si chiedono: “Perché proprio lui?”. Ma il punto non è chi lo merita: il docente ha un piano, un’intenzione che gli altri non possono ancora vedere.
Così è con Dio: sceglie, chiama, agisce… e non sempre ci spiega tutto subito. Anche se oggi Israele ha rifiutato, il piano di Dio non è fallito. Anzi, come vedremo più avanti, proprio quel rifiuto ha aperto la porta anche a noi. Gesù “è venuto in casa sua, e i suoi non l’hanno ricevuto” (Giovanni 1:11). Ma proprio quel rifiuto ha spalancato la via alla croce, al perdono, alla salvezza.
Questo è il cuore del capitolo 9: Dio non è stato colto di sorpresa. Il suo disegno di grazia è andato avanti — nonostante il rifiuto, e perfino attraverso il rifiuto. E oggi, quello stesso Gesù continua a chiamare, per mezzo dello Spirito Santo, persone da ogni popolo. Se siamo qui, è perché siamo stati scelti. Non per merito, ma per grazia: un amore che ci ha raggiunti quando non lo cercavamo.
Perciò, anche quando non capiamo, possiamo camminare con fiducia. La storia non è finita. Le promesse di Dio restano salde. Ricorda: se Dio ti ha raggiunto quando eri lontano, può farlo anche con chi oggi ti sembra irraggiungibile.
E questa è la buona notizia che ci accompagna nel passo successivo: il Dio che sceglie è anche il Dio che fa misericordia.
Dio ha misericordia… e questo ci basta
Che diremo dunque? Vi è forse ingiustizia in Dio? No di certo! Poiché egli dice a Mosè: «Io avrò misericordia di chi avrò misericordia e avrò compassione di chi avrò compassione». Non dipende dunque né da chi vuole né da chi corre, ma da Dio che fa misericordia. La Scrittura infatti dice al faraone: «Appunto per questo ti ho suscitato: per mostrare in te la mia potenza e perché il mio nome sia proclamato per tutta la terra». Così dunque egli fa misericordia a chi vuole e indurisce chi vuole. (Romani 9:14-18)
Ci sono momenti in cui ci chiediamo: “Ma Dio è giusto? Perché benedice qualcuno e non un altro?”. È la stessa domanda che Paolo anticipa: “Vi è forse ingiustizia in Dio?”. E risponde senza esitazione: “No di certo!”.
Per spiegarlo, ci porta sul Sinai, dove Mosè, in un momento di crisi, osò dire: “Fammi vedere la tua gloria”. Dio rispose: “Io farò grazia a chi vorrò fare grazia e avrò pietà di chi vorrò avere pietà” (Esodo 33:19).
Parole che possono sembrare fredde, ma che ci ricordano una verità vitale: la misericordia non si merita, è un dono. Non dipende dalla nostra bravura o dal nostro impegno, ma da Dio che fa misericordia. Se dipendesse da noi, nessuno resisterebbe. Ma se dipende da Dio, possiamo riposare nella sua grazia, anche quando non capiamo tutto.
Poi Paolo cita un esempio forte: il Faraone, che si oppose a lasciare libero il popolo di Israele. E dalle parole che Paolo cita, potrebbe sembrare che Dio abbia indurito il cuore del faraone e lo abbia semplicemente usato per i suoi scopi.
Ma, se leggiamo attentamente la storia, vediamo che all’inizio fu il Faraone stesso a indurire il proprio cuore. Scelse di resistere, nonostante i segni e i miracoli. Solo dopo Dio confermò quella scelta. E usò perfino la sua ribellione per portare avanti il piano di liberazione di Israele.
Dio non mette nel cuore dell’uomo il peccato, ma sa incanalarlo per compiere i suoi propositi.
Anche oggi, quando vediamo ostacoli o ingiustizie, possiamo sapere che Dio non ha perso il controllo. Il suo disegno avanza, la sua gloria si rivela, il suo nome si fa conoscere — perfino attraverso il rifiuto.
È naturale voler capire e misurare la giustizia di Dio con il nostro metro. Ma Dio ci invita a conoscere il suo cuore: giusto, santo… e pieno di misericordia. Corrie ten Boom, sopravvissuta ai campi di concentramento, amava dire: “La vita è come un grande arazzo: dal basso vediamo nodi e fili aggrovigliati; dall’alto, Dio vede il disegno perfetto”.
A volte, dalla nostra prospettiva, tutto sembra confuso e senza senso. Ma Dio sta tessendo qualcosa di buono. Anche se non lo vediamo, possiamo fidarci del Tessitore: non perché comprendiamo tutto, ma perché conosciamo chi tiene il filo.
Ricordo una donna che, dopo aver perso un figlio in un tragico incidente, riuscì a dire con una calma e pace incredibile: “Non capisco Dio… ma confido in Lui”. Le sue non erano solo parole nate da una riflessione teologica, ma da un incontro con la misericordia di Dio.
Quella stessa misericordia l’abbiamo conosciuta in Gesù: Colui che ha preso su di sé il giudizio che spettava a noi, per offrirci la salvezza che non ci spettava.
E allora, quando ci chiediamo perché alcuni credono e altri no… quando il cuore si spezza per chi rifiuta il Vangelo… quando ci sembra che Dio non stia operando come vorremmo… possiamo tornare a queste parole: “Dio fa misericordia”.
E questo ci basta. Basta per continuare a pregare, senza smettere di sperare. Basta per vivere con umiltà, sapendo che siamo salvati solo perché Dio ha avuto pietà di noi. Basta per adorare, anche nel mistero.
Come scrive Paolo a Tito:
“Egli ci ha salvati non per opere giuste da noi compiute, ma per la sua misericordia…” (Tito 3:5)
Questa è la base della nostra fede.
Dopo tutto ciò che abbiamo ascoltato — il dolore di Paolo, la fedeltà di Dio, la libertà della sua misericordia — resta una sola risposta: fidarci. Fidarsi che Dio sa cosa fa. Che la sua elezione non è ingiustizia, ma grazia. E che, se oggi crediamo, è solo perché la sua misericordia ci ha raggiunti.
Perciò, ti invito a dire: “Signore, grazie per la tua misericordia. Voglio fidarmi di te, anche quando non capisco. Voglio pregare per chi è lontano… e lasciarmi usare da te”.
Non capiamo tutto, ma sappiamo questo: Dio fa misericordia. E oggi ci chiama a essere strumenti nelle sue mani, perché altri possano conoscerlo.
Amen