È meglio morire piuttosto che vivere?

15 Agosto 2021

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Daniele Scarabel

Daniele Scarabel

Pastore

Allora egli chiese di morire, dicendo: «È meglio per me morire che vivere». Dio disse a Giona: «Fai bene a irritarti così a causa del ricino?» Egli rispose: «Sì, faccio bene a irritarmi così, fino a desiderare la morte». (Giona 4:8b-9)

Finora, parlando di Giona, ci siamo concentrati principalmente su come la sua storia possa dare spunti di riflessione per la nostra vita personale come credenti. Oggi vorrei però trarre dalla sua storia alcuni spunti di riflessione per noi come la Chiesa di Cristo.

In periodi storici come quello che stiamo attraversando ora, è naturale che i cristiani si facciano alcuni pensieri su ciò che sta accadendo, soprattutto se abbiamo in mente ciò che la Bibbia dice riguardo agli ultimi tempi prima del ritorno di Cristo. Se crediamo a ciò che ci dice la Bibbia, sappiamo che la situazione per noi cristiani si farà sempre meno confortevole.

E se tutta la libertà che il Signore ci ha concesso finora per condividere il Vangelo ci fosse tolta? E se ci venissero tolte tutte le comodità e i privilegi di cui abbiamo goduto come chiesa? E se il Signore ci confrontasse con la nostra ribellione e la nostra relativa indifferenza per il mondo che ci circonda? Come reagiremmo noi?

La chiamata di Dio per la nostra vita

Allora egli chiese di morire, dicendo: «È meglio per me morire che vivere». (Giona4:8b)

La situazione di Giona era certamente poco confortevole, con il soffocante vento orientale e il sole che picchiava sulla sua testa, ma è triste leggere che per Giona l’unica opzione fosse quella di morire. Avrebbe certamente avuto delle alternative. Avrebbe potuto tornare a Ninive e di sicuro qualcuno lo avrebbe ospitato e gli avrebbe dato da bere. Avrebbe anche potuto provare ad apportare delle migliorie alla capanna che si era costruito il giorno prima. E naturalmente avrebbe anche potuto mettere da parte il proprio orgoglio e rivolgersi nuovamente al Signore con tutto il suo cuore.

Questa non fu la prima volta che Giona preferì la morte alla vita. La prima volta fu quando il Signore scatenò una terribile tempesta sul mare. Dopo che i marinai scoprirono che era lui il responsabile di quella disgrazia, la sua unica soluzione fu dire: “Prendetemi e gettatemi in mare, e il mare si calmerà per voi” (Giona 1:12). Non poteva certo immaginare che Dio avrebbe mandato un pesce per salvarlo, pensava di farla finita lì una volta per tutte.

La seconda volta che Giona preferì la morte alla vita fu quando Dio decise di non più punire gli abitanti di Ninive in seguito al loro pentimento. E ora, la terza volta, Giona preferì la morte alla vita perché la protezione che Dio gli aveva fornito dal caldo – il ricino – gli era stata nuovamente tolta da Dio stesso e Giona si trovava di conseguenza esposto a un caldo insopportabile.

Tutte e tre le situazioni hanno qualcosa in comune: i piani di Dio e quelli di Giona non combaciavano. Così, quando Giona si rese conto che il piano di Dio sarebbe andato avanti anche senza di lui, Giona ne fu talmente irritato (o rassegnato) al punto da dire semplicemente “lasciami morire!”.

Ogni volta che Dio non voleva assecondare i piani di Giona, la sua vita non aveva più alcun senso. Eppure Giona aveva ricevuto un chiaro incarico da parte di Dio: essere il portavoce di Dio per invitare i Niniviti al ravvedimento in vista dell’imminente giudizio di Dio. Similmente Gesù Cristo ha anche lasciato a noi, la sua Chiesa, un incarico molto simile:

Andate dunque e fate miei discepoli tutti i popoli battezzandoli nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutte quante le cose che vi ho comandate. (Matteo 28:19-20a)

Per i primi cristiani le ondate di persecuzione che misero sotto pressione la Chiesa furono uno stimolo nel portare avanti il Grande mandato, anche a scapito della propria vita. Ci riuscirono perché erano convinti che il Signore sarebbe tornato presto e perché sentivano l’urgenza di far conoscere il loro Signore Gesù Cristo al mondo intero, a parole e con i fatti.

È probabile che prima o poi anche la nostra generazione di cristiani si troverà a dover affrontare una qualche forma di persecuzione qui in Europa. Cosa faremo quando non ci sarà più possibile comprare o vendere senza portare il marchio della bestia o quando inizieranno ad esserci i primi martiri a motivo della fede? Ciò che è descritto nell’Apocalisse non è certo una passeggiata, saremo messi alla prova e questo può farci molta paura.

Arriveremo anche noi a dire come Giona: “È meglio per me morire che vivere”? La nostra vita avrà ancora un senso, anche se non potremo fare altro che nasconderci e cercare di sopravvivere? Ancora non siamo a quel punto, ma credo che sia buono, per ogni generazione di cristiani, riflettere su queste domande.

Gesù ci avverte che già prima del terribile periodo della tribolazione descritto nell’Apocalisse accadranno cose indescrivibili. Ecco solo alcuni esempi:

Voi udrete parlare di guerre e di rumori di guerre; guardate di non turbarvi, infatti bisogna che questo avvenga, ma non sarà ancora la fine. Perché insorgerà nazione contro nazione e regno contro regno; ci saranno carestie e terremoti in vari luoghi; ma tutto questo non sarà che principio di dolori. Allora vi abbandoneranno all’oppressione e vi uccideranno e sarete odiati da tutte le genti a motivo del mio nome. Allora molti si svieranno, si tradiranno e si odieranno a vicenda. Molti falsi profeti sorgeranno e sedurranno molti. Poiché l’iniquità aumenterà, l’amore dei più si raffredderà. Ma chi avrà perseverato sino alla fine sarà salvato. (Matteo 24:6-13)

Riusciamo, nonostante tutto, a confidare nei piani di Dio? Siamo convinti che Dio abbia il controllo di ciò che accadrà prima del ritorno di Cristo? E soprattutto: crediamo che Dio abbia uno scopo per noi cristiani su questo mondo e siamo disposti a perseguire questi obiettivi di Dio anche quando la situazione si farà scomoda?

Oppure assomigliamo a Giona che preferisce starsene tranquillo in prima fila ad osservare il mondo cadere a pezzi? Penseremmo forse che, a questo punto, sarebbe meglio che il Signore tornasse presto, piuttosto che impegnarci a rispondere alla chiamata di Dio per la nostra vita?

Non abbiamo diritto di irritarci con Dio

Dio disse a Giona: «Fai bene a irritarti così a causa del ricino?» (Giona 4:9a)

La prima volta che Giona aveva espresso il desiderio di morire, Dio aveva già risposto in modo simile chiedendogli “Fai bene a irritarti così?” (Giona 4:4). In quell’occasione Giona non rispose e scelse semplicemente di lasciare la città. Questa volta la domanda di Dio fu più concreta, perché era rivolta all’irritazione di Giona a causa del ricino che nel frattempo era seccato.

Come poteva Giona essere irritato per una pianta che prima nemmeno c’era e che Dio ha fatto crescere per pura misericordia nei suoi confronti? Vediamo quanto ridicola era la situazione di Giona. Giona avrebbe chiaramente dovuto rispondere: “No! Hai ragione, non ho alcun diritto di essere irritato”.

Mentre per noi potrebbe essere facile giudicare Giona e chiederci come abbia potuto essere così preso da sé stesso, così concentrato sulle sue comodità e sui suoi diritti, sarebbe utile rispondere anche noi a questa domanda di Dio. Dio per noi non ha fatto crescere delle piante di ricino, ma quanta pazienza ha avuto con noi, quanto è stato misericordioso e quanto ci ha benedetti come Chiesa? Non avrebbe forse il diritto di chiederci quanto ci stiamo veramente impegnando per portare avanti l’incarico che ci ha lasciato 2000 anni fa?

Ho trovato molto interessante seguire quanta polemica sia sorta proprio tra i cristiani in questo ultimo anno e mezzo. È bastato un virus, con le conseguenti ripercussioni politiche e economiche, per spingere noi cristiani a lamentarci per le limitazioni che lo Stato ci ha imposto e per la sua ingerenza nella nostra vita privata.

Quanto ci siamo concentrati su ciò che ci è stato tolto, invece di riflettere nuovamente sul perché siamo Chiesa? Siamo consapevoli del fatto che se esistiamo come comunità locale è perché la nostra presenza sul territorio dovrebbe fare la differenza? Abbiamo davvero il diritto di lamentarci perché lo Stato ci ha tolto dei privilegi dei quali la Chiesa ha goduto finora?

E se Dio decidesse di permettere allo Stato di toglierci ancora più libertà o privilegi, se improvvisamente perdessimo alcuni dei diritti che lo stato ci concede o se Dio togliesse la sua mano protettrice dalla Chiesa in Europa, avremmo forse il diritto di essere irritati con Dio? Non è forse per grazia di Dio che finora abbiamo goduto di tanta libertà e che lo Stato ci ha permesso di fare quasi tutto ciò che volevamo?

Con questo non sto dicendo che non avremmo il diritto di opporci allo Stato, se lo stesso dovesse andare ad intaccare ulteriormente la nostra libertà religiosa. Non è questo il punto. La domanda a noi come Chiesa e ad ognuno di noi personalmente è: siamo disposti a continuare a servire il Signore, anche se Dio stesso dovesse decidere di toglierci altre “piante di ricino” che finora ha fatto crescere per noi?

Abbiamo ricevuto la grazia di Dio gratuitamente, ma questa grazia è destinata ad essere condivisa con il nostro prossimo e non ad essere tenuta per noi. È ben possibile che il Signore potrà un giorno arrivare a dover far seccare ulteriori “piante di ricino” nella nostra vita, con lo scopo di farci riflettere sul fatto che tutto ciò che abbiamo è perché lo abbiamo ricevuto.

Fermiamoci ed esaminiamo noi stessi, come individui e come Chiesa, e chiediamoci: a che punto siamo nel nostro cammino con il Signore e nell’adempimento del Grande mandato di fare suoi discepoli tutti i popoli? Per ora godiamo ancora di incredibili libertà, facciamo dunque buon uso di questa libertà, prima che le porte vengano chiuse e la libertà ci venga tolta per davvero!

Giona ci mostra che Dio è addirittura disposto a permettere che i suoi cari figli soffrano sotto il suo giudizio, al fine di purificarli e salvarli. Consideriamo dunque l’opportunità di crescere nella nostra dipendenza da Dio, proprio anche quando ci vengono tolte delle libertà alle quali siamo abituati. Dipendiamo unicamente da Dio e non dallo Stato!

Qualsiasi cosa accada, Cristo è con noi

Egli rispose: «Sì, faccio bene a irritarmi così, fino a desiderare la morte». (Giona 4:9b)

Anche questa volta Giona scelse purtroppo di rispondere negativamente e con molta arroganza alla domanda di Dio. Stiamo attenti a non commettere anche noi lo stesso errore di Giona. Vorrei che come Chiesa potessimo affrontare il futuro consapevoli del nostro ruolo in questo mondo.

Proprio come fece l’Apostolo Paolo, che fu anche costretto a rinunciare a molte libertà e ad affrontare sofferenze delle quali avrebbe volentieri fatto a meno, ma che fu pronto ad andare avanti con il Signore perché sapeva che il tutto serviva a uno scopo ben preciso:

Infatti per me il vivere è Cristo e il morire guadagno. Ma se il vivere nella carne porta frutto all’opera mia, non saprei che cosa preferire. Sono stretto da due lati: da una parte ho il desiderio di partire e di essere con Cristo, perché è molto meglio; ma, dall’altra, il mio rimanere nel corpo è più necessario per voi. (Filippesi 1:21-24)

Forse anche molti di noi preferirebbero essere già con Cristo o che tornasse presto, invece di dover affrontare un futuro molto incerto. Magari ciò che ancora deve venire ci incute timore e ci fa paura, ma finché siamo su questa terra abbiamo un incarico che il Signore ci ha affidato.

Come cristiani non dovremmo essere sorpresi quando arriveranno sofferenze e privazioni ben più grandi delle piccole rinunce alle quali siamo stati confrontati in questo ultimo periodo. Ma vorrei che fossimo pronti ad affrontare quelle sofferenze sapendo che Cristo non ci ha semplicemente lasciato un incarico, bensì anche una promessa che è tutt’ora valida:

Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine dell’età presente. (Matteo 28:20b)

Un giorno la gloria di Cristo sarà finalmente rivelata a tutto il mondo, ma già ora lo Spirito di Dio è con noi. Se crediamo che Gesù Cristo sarà l’indiscusso vincitore alla fine dei tempi e che noi saremo glorificati con lui per ereditare il suo regno, non può che crescere in noi il profondo desiderio di vivere questo periodo storico da protagonisti e non da spettatori.

Dovremmo essere vigili in modo da poter pregare efficacemente in questi tempi finali. Dio usa la sofferenza per raffinare la fede del Suo popolo e la sofferenza presente contribuisce alla nostra gloria futura!

Amen

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