I passi verso la riconciliazione

17 Novembre 2024

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Daniele Scarabel

Daniele Scarabel

Pastore

Questa mattina vorrei iniziare con una domanda molto diretta: c’è qualcuno nella tua vita a cui puoi portare un ramoscello di ulivo? C’è una persona con cui desideri riconciliarti ma non sai come fare? Oppure qualcuno che non è disposto a fare il primo passo? Se lo Spirito Santo ti incoraggiasse a riconciliarti con qualcuno, saresti disposto a fare il primo passo?

Nel nostro viaggio attraverso la vita di Giuseppe, oggi ci troviamo davanti a uno dei momenti più commoventi e potenti: In Genesi 45 è finalmente giunto il momento in cui si riconcilia con i suoi fratelli, coloro che lo avevano tradito, ferito e venduto come schiavo. Come è riuscito Giuseppe a perdonarli e a riconciliarsi? E cosa possiamo imparare dal suo esempio?

La riconciliazione è uno dei temi più difficili, eppure più essenziali, per la nostra crescita spirituale e relazionale. Oggi, vedremo insieme tre passi che possiamo compiere per camminare verso la riconciliazione: Riconosci la tua identità in Dio, riconosci la prospettiva di Dio sulla sofferenza e riconosci la bellezza della riconciliazione.

Riconosci la tua identità in Dio

Allora Giuseppe non poté più contenersi davanti a tutto il suo seguito e gridò: «Fate uscire tutti dalla mia presenza!» Nessuno rimase con Giuseppe quando egli si fece riconoscere dai suoi fratelli. Alzò la voce piangendo; gli Egiziani lo udirono e l’udì la casa del faraone. Giuseppe disse ai suoi fratelli: «Io sono Giuseppe; mio padre vive ancora?» Ma i suoi fratelli non gli potevano rispondere, perché erano atterriti dalla sua presenza. (Genesi 45:1-3)

Dopo aver provato più volte la sincerità dei suoi fratelli, Giuseppe decise finalmente di rivelarsi a loro. Sopraffatto dalle emozioni, chiese a tutti gli altri di uscire dalla stanza. Piangendo ad alta voce, Giuseppe si mostrò vulnerabile di fronte ai suoi fratelli e, indirettamente, a tutta la casa del faraone.

È chiaro che per Giuseppe questo primo passo non fu affatto facile. Giuseppe era stato venduto come schiavo a diciassette anni, subendo una ferita profonda. Successivamente, era stato falsamente accusato dalla moglie di Potifar, subendo un’umiliazione ingiusta. Anche dopo aver interpretato i sogni del coppiere in prigione, fu dimenticato, ricevendo così un’altra delusione. Infine, benché promosso a governatore d’Egitto, era sempre lontano dalla sua famiglia, senza alcuna prospettiva di poterla rivedere, in particolare Beniamino e suo padre.

Giuseppe disse ai suoi fratelli: «Vi prego, avvicinatevi a me!» Quelli s’avvicinarono ed egli disse: «Io sono Giuseppe, vostro fratello, che voi vendeste perché fosse portato in Egitto». (Genesi 45:4)

Con le parole “vi prego, avvicinatevi a me” Giuseppe superò simbolicamente la distanza emotiva e relazionale che si era creata negli anni. Dicendo “Io sono Giuseppe, vostro fratello, che voi vendeste perché fosse portato in Egitto”, Giuseppe non negò di essere stato deluso e ferito dai suoi stessi fratelli. Aveva però compreso qualcosa di molto importante: la sua identità non era definita dal tradimento, dall’odio o dal dolore subito, ma dal ruolo che Dio gli aveva assegnato.

È facile che siamo tentati di definire la nostra identità basandoci su ciò che abbiamo subito o sulle azioni degli altri nei nostri confronti. Ma come ci ha dimostrato Giuseppe, dobbiamo ricordare che siamo figli di Dio, chiamati a vivere in modo degno della nostra identità spirituale, al di là delle ferite del passato.

Riconosci anche tu la tua identità in Dio? Ciò che il Signore ha già fatto nel tuo cuore ti ha liberato dal risentimento? È un passo decisivo per poter guardare all’altro con occhi nuovi, con lo sguardo di Dio. Questo non farà sparire il torto subito, ma può offrirti una nuova prospettiva: guardare avanti a ciò che Cristo vuole fare nella tua vita, al ruolo che Lui ti ha assegnato.

La tentazione di identificarci con la nostra sofferenza può essere grande: possiamo cadere nel ruolo della vittima permettendo al torto subito di attaccare la nostra identità ma, come ci ricorda Paolo, se uno è in Cristo “egli è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate: ecco, sono diventate nuove” (2 Corinzi 5:17).

La reazione di Giuseppe ci sfida ad affrontare le ferite e i torti del passato, non ignorandoli, ma con un cuore pronto a perdonare. L’invito di Giuseppe ai suoi fratelli ci incoraggia a cercare di risanare i rapporti interrotti, confidando che Dio possa portare la guarigione anche nelle situazioni più difficili. È un invito a estendere la grazia e il perdono, così come noi stessi l’abbiamo ricevuta da Dio.

Pensi che le ferite del passato stiano ancora influenzando la tua identità? Saresti disposto a lasciare che Dio ti guidi verso il perdono per guarire le ferite nel tuo cuore e aiutarti a dire, come fece Giuseppe: “Vi prego, avvicinatevi a me!”?

Riconosci la prospettiva di Dio sulla sofferenza

Giuseppe è stato capace di riconciliarsi perché ha compreso la prospettiva di Dio sulla sua sofferenza. Di fronte ai suoi fratelli, probabilmente spaventati dall’idea di trovarsi di fronte proprio a lui, Giuseppe disse:

Ma ora non vi rattristate, né vi dispiaccia di avermi venduto perché io fossi portato qui; poiché Dio mi ha mandato qui prima di voi per conservarvi in vita. (Genesi 45:5)

Giuseppe riuscì a vedere come Dio aveva usato le difficoltà per un piano più grande. E questo cambiò completamente il modo in cui percepiva le sue sofferenze e i suoi fratelli. Quando vediamo la nostra sofferenza attraverso gli occhi di Dio, possiamo iniziare a scoprire uno scopo più grande, che ci permette di andare oltre il dolore personale.

So che non è per niente facile riconoscere il piano di Dio nella sofferenza o comprendere come tutte le cose possano cooperare al bene di quelli che amano Dio.

E magari ci lamentiamo, proprio come Davide nel Salmo 13:

Fino a quando, o Signore, mi dimenticherai? Sarà forse per sempre? Fino a quando mi nasconderai il tuo volto? Fino a quando avrò l’ansia nell’anima e l’affanno nel cuore tutto il giorno? Fino a quando s’innalzerà il nemico su di me? (Salmo 13:1-2)

Non è sbagliato lamentarci con Dio. È giusto portare a Dio le nostre domande, le nostre preoccupazioni e le nostre lamentele. È però altrettanto importante guardare alla sofferenza con la prospettiva di Dio. Come Davide, che alla fine del Salmo disse:

Quanto a me, io confido nella tua bontà; il mio cuore gioirà per la tua salvezza; io canterò al Signore perché m’ha fatto del bene. (Salmo 13:5)

Dio vuole che tu riconosca che anche le tue difficoltà possono diventare una fonte di benedizione per altri. Riesci a credere che Dio ha il controllo ultimo della tua vita e delle tue circostanze anche se magari ancora non comprendi il quadro completo? Ricorda che a Giuseppe ci vollero più di vent’anni per riuscire a vedere un senso dietro a tutto ciò che gli era successo:

Ma Dio mi ha mandato qui prima di voi, perché sia conservato di voi un residuo sulla terra e per salvare la vita a molti scampati. Non siete dunque voi che mi avete mandato qui, ma è Dio… (Genesi 45:7-8a)

La storia di Giuseppe ci ricorda che, se abbiamo confidato in Gesù, siamo predestinati a essere conformi alla Sua immagine, come afferma Paolo in Romani 8. Dio ha iniziato in noi un processo di trasformazione, e spesso la sofferenza è uno degli strumenti che Egli usa per plasmare il nostro carattere.

Se guardo alla mia vita, posso affermare che è stato soprattutto nei momenti più bui che Dio ha maggiormente plasmato il mio carattere. Come Dio ha lavorato all’arroganza di Giuseppe mentre si trovava in prigione, il Signore mi ha anche insegnato a guardare dentro al mio cuore e ad essere più umile e misericordioso ogni volta che sono stato deluso o ferito da qualcuno.

Forse anche tu hai momenti nei quali ti senti ancora lontano dall’essere ciò che Dio vorrebbe che tu sia, proprio come Giuseppe mentre si trovava in Egitto. Ma riesci a vedere come Dio potrebbe utilizzare le tue difficoltà attuali per la tua crescita? Quali passi potresti fare per ricordarti che la tua vita è nelle Sue mani, anche quando ti trovi “in Egitto”?

Qualunque sia il “tuo Egitto”, sappi che Dio è con te e che, se ha cominciato in te un’opera buona, la porterà anche a compimento. Sii paziente e certo che Lui ti accompagnerà passo dopo passo, perché la tua vita è nelle Sue mani.

Riconosci la bellezza della riconciliazione

Giuseppe non si limitò a perdonare i suoi fratelli: li invitò a trasferirsi in Egitto, per vivere nella sicurezza e prosperità:

Affrettatevi a risalire da mio padre e ditegli: “Così dice tuo figlio Giuseppe: Dio mi ha stabilito signore di tutto l’Egitto; scendi da me, non tardare;  tu abiterai nel paese di Goscen e sarai vicino a me: tu e i tuoi figli, i figli dei tuoi figli, le tue greggi, i tuoi armenti e tutto quello che possiedi. (Genesi 45:9-10)

Questo non solo ristabilì la loro relazione, ma creò un’opportunità di rinascita per la sua intera famiglia. La riconciliazione non riguarda solo il lasciar andare il risentimento, ma è un invito a costruire un futuro insieme.

Il versetto 14 descrive poi come Giuseppe si gettò al collo di Beniamino, pianse e poi baciò tutti i suoi fratelli, dimostrando affetto e perdono sinceri, senza risentimento per il male subito. Il versetto 15 conclude dicendo: “Dopo questo, i suoi fratelli si misero a parlare con lui”. C’è una bellezza profonda in questo gesto: rimanda all’amore di Dio per noi, che ci ha riconciliati con Lui attraverso Gesù.

Il gesto di Giuseppe non è però che un’anticipazione del più grande atto di riconciliazione che troviamo in Cristo. Giuseppe ha messo alla prova i suoi fratelli e ha aspettato di essere sicuro del loro pentimento prima di riconciliarsi con loro. Gesù invece, sulla croce, ha riconciliato tutti noi con Dio, senza aspettare che fossimo perfetti o che dimostrassimo di meritarlo.

In 2 Corinzi 5 leggiamo:

E tutto questo viene da Dio che ci ha riconciliati con sé per mezzo di Cristo e ci ha affidato il ministero della riconciliazione. Infatti Dio era in Cristo nel riconciliare con sé il mondo, non imputando agli uomini le loro colpe, e ha messo in noi la parola della riconciliazione. (2 Corinzi 5:18-19)

Dio non aspetta che noi cambiamo per avvicinarsi a noi: ci riconcilia con sé per grazia, senza condizioni. È solo per grazia, solo per fede, solo per mezzo di Cristo. Ma non finisce qui, perché se ci limitassimo a pensare che siamo riconciliati con Dio senza desiderare di estendere il perdono anche a chi ci ha ferito, la nostra fede non sarebbe che religiosità.

Sei pronto anche tu a fare il primo passo verso la riconciliazione, riconoscendo la bellezza di questa azione? Forse, Dio ti chiama a ristabilire un rapporto con qualcuno, a costruire un nuovo futuro di pace. Sei almeno pronto a pregarci sopra? E magari a dire: “Signore, quale potrebbe essere la mia parte in questo processo?”.

Ricorda, non possiamo cambiare gli altri. Ma possiamo permettere che Dio cambi noi, iniziando dal perdono e dalla riconciliazione. Forse oggi il Signore ti sta chiamando a compiere un passo concreto, a riconciliarti con qualcuno nella tua vita. Come potrebbe cambiare il tuo modo di vedere quella persona, che magari ti ha profondamente ferito, se le guardassi dalla prospettiva della misericordia di Dio?

Gesù ci dice in Giovanni 13:

Vi do un nuovo comandamento: che vi amiate gli uni gli altri. Come io vi ho amati, anche voi amatevi gli uni gli altri. Da questo conosceranno tutti che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri. (Giovanni 13:34-35)

Dio ci ha chiamati a vivere in pace e ad essere testimoni del Suo amore, anche nelle relazioni più difficili. C’è qualcuno con cui puoi fare pace oggi, portando il ramoscello d’ulivo di Dio? Se permetti a Dio di guidarti in questo cammino, scoprirai che, come per Giuseppe, anche nelle nostre sofferenze c’è un’opportunità di trasformazione e benedizione.

Amen

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