La fedeltà di Dio non cambia, anche quando noi cambiamo

Daniele Scarabel
Pastore
Paolo, nel suo ruolo di evangelista e apologeta, sapeva che il suo messaggio avrebbe scosso molte convinzioni. Dopo aver affermato in Romani 2:29 che “Giudeo è colui che lo è interiormente”, molti si saranno chiesti: “Allora, essere giudei non serve a nulla?”.
Invece di evitare la questione, Paolo la affronta subito. Leggendo Romani 3:1-8, proviamo ad immaginarci un dialogo tra un cristiano di origine giudaica della chiesa di Roma e Paolo. Immaginiamo la scena: un credente di Roma che ascolta Paolo e gli chiede con tono sorpreso…
“Paolo, stai dicendo che essere giudei non serve a nulla?” (v.1)
“Assolutamente no! Essere il popolo di Dio è un grande privilegio, perché abbiamo ricevuto la Sua Parola.” (v.2)
“Ma allora perché molti non hanno creduto? Non significa che la Parola di Dio ha fallito?” (v.3)
“No! Anche se noi veniamo meno, Dio rimane fedele. La nostra incredulità non può cambiare la Sua natura.” (v.4)
“Ma se la nostra ingiustizia mette in risalto la giustizia di Dio, perché Egli ci giudica?” (v.5)
“Con questo ragionamento, Dio non potrebbe giudicare nessuno! Ma noi sappiamo che Dio è giusto.” (v.6)
“Se il mio peccato glorifica Dio, perché non dovrei peccare ancora di più?” (v.7-8)
“Questo è un ragionamento perverso! Il peccato è sempre condannabile, anche se Dio sa trarre il bene dal male.”
In questi versetti, Paolo non sta solo rispondendo a delle domande: sta smascherando una mentalità pericolosa che minimizza il peccato e sminuisce la santità di Dio. E attraverso queste parole, ci insegna qualcosa di fondamentale: Dio è fedele, anche quando noi siamo infedeli.
Ma attenzione: la grazia di Dio non è una scusa per vivere nel peccato.
Il privilegio della Parola di Dio
Qual è dunque il vantaggio del Giudeo? Qual è l’utilità della circoncisione? Grande in ogni senso. Prima di tutto, perché a loro furono affidate le rivelazioni di Dio. (Romani 3:1-2)
Qui Paolo anticipa un’obiezione: “Se nel capitolo 2 hai detto che anche i Giudei sono peccatori, allora che vantaggio c’è nell’essere il popolo di Dio?”. La sua risposta è chiara: il più grande privilegio di Israele è aver ricevuto la Parola di Dio.
Israele non ha trovato Dio per conto proprio. È stato Dio a scegliere di rivelarsi a loro! Ha chiamato Abraamo, ha liberato il Suo popolo dalla schiavitù in Egitto, ha dato loro la Legge per mezzo di Mosè e ha mandato profeti per guidarli. Eppure, molte volte non hanno riconosciuto il valore di questo dono, come conferma il profeta Neemia:
Tu li scongiuravi per farli tornare alla tua legge; ma essi si inorgoglivano e non ubbidivano ai tuoi comandamenti… Hai avuto pazienza con loro molti anni. (Neemia 9:29-30)
Dio ha dato al Suo popolo un tesoro, ma molte volte lo hanno trascurato. Questo vale anche per noi oggi. Dio ci ha dato la Sua Parola, ma quante volte la trascuriamo?
Facciamo un esempio per comprenderlo meglio. Immagina un uomo che un giorno scopre in soffitta una vecchia cassa di legno, lasciata lì da suo nonno. Aprendola, trova centinaia di lettere scritte a mano, piene di consigli, saggezza e storie di vita. All’inizio è incuriosito, ma poi pensa: “Non ho tempo per queste cose… magari le leggerò un giorno”. Così chiude la cassa e la dimentica per anni. Un giorno, ormai anziano e in difficoltà, si ricorda di quelle lettere… ma ormai è troppo tardi.
Questa è l’immagine di Israele. Avevano la Parola di Dio, il tesoro più grande, ma molti non l’hanno ascoltata né seguita. E noi? Abbiamo l’Antico e il Nuovo Testamento, abbiamo Gesù, la rivelazione suprema di Dio, abbiamo lo Spirito Santo che ci guida.
Ma non stiamo a volte facendo lo stesso errore? Abbiamo la Bibbia ovunque: in casa, sul telefono, nelle nostre mani. Ma come la stiamo usando? Leggerla ogni giorno, anche solo cinque minuti con cuore aperto, può trasformare la nostra vita.
Pensaci un attimo: quando è stata l’ultima volta che hai lasciato che la Parola di Dio ti parlasse davvero? Non solo un versetto letto in fretta, ma un momento in cui Dio ha toccato il tuo cuore attraverso le Scritture.
Dio ci ha affidato le Sue parole di vita, non per lasciarle in disparte, ma per nutrire la nostra anima. Se oggi senti di averla trascurata, non è troppo tardi per ricominciare. Può essere semplice: un momento di silenzio la mattina, una preghiera prima di leggere, una riflessione condivisa con un fratello o una sorella in fede.
La Parola di Dio è viva e potente. Non lasciamola chiusa come una cassa dimenticata. Apriamola, ascoltiamola, lasciamo che trasformi il nostro cuore.
La fedeltà di Dio di fronte all’infedeltà umana
Che vuol dire infatti se alcuni sono stati increduli? La loro incredulità annullerà la fedeltà di Dio? No di certo! Anzi, sia Dio riconosciuto veritiero e ogni uomo bugiardo, com’è scritto: «Affinché tu sia riconosciuto giusto nelle tue parole e trionfi quando sei giudicato». (Romani 3:3-4)
Paolo affronta ora una nuova obiezione: “Se molti giudei non hanno creduto, significa che la Parola di Dio ha fallito? Dio ha mancato alle Sue promesse?”. A prima vista, sembra una domanda lecita. Ma in realtà, Paolo ci mostra che questa non è una vera domanda, è una scusa. Invece di riconoscere la propria incredulità, alcuni cercano di spostare la colpa su Dio.
Ma questo atteggiamento non è nuovo. Sin dalle origini, l’essere umano ha cercato di giustificare i propri errori incolpando qualcun altro. Adamo disse: “È stata la donna che tu mi hai dato”. Eva disse: “È stato il serpente”. E qui il ragionamento è simile: “Se molti non credono, allora forse il problema non è nel loro cuore, ma in Dio stesso?”.
Ma Paolo risponde con fermezza: “No! Dio è fedele anche quando noi siamo infedeli”. Dio non cambia in base alla nostra risposta. Non è fedele perché noi siamo fedeli, ma perché Egli è Dio. Anche se gli uomini tradiscono, Dio rimane saldo. Anche quando Israele ha rotto il patto, Dio non ha mai rinnegato le Sue promesse.
Per capire meglio, immaginiamo un padre che promette al figlio di esserci sempre per lui, qualunque cosa accada. Il figlio cresce, ma invece di rimanere vicino al padre, si allontana, lo rinnega, ignora i suoi consigli e prende decisioni sbagliate. Per anni vive lontano, fa scelte che lo rovinano, e un giorno si ritrova solo, senza più nulla.
Molti guarderebbero questa storia e direbbero: “Quel padre non ha mantenuto la sua promessa, perché guarda come è finito suo figlio!”. Ma è davvero così? Il padre ha mai smesso di amarlo? Ha mai rinnegato la sua promessa? No. Il figlio ha fallito, ma il padre è rimasto fedele, ha continuato ad aspettarlo, con le braccia aperte. Lo stesso vale per Dio. La nostra infedeltà non annulla la Sua fedeltà.
Questa è la storia che Gesù stesso raccontò nella parabola del figlio prodigo. Quel padre rappresenta Dio: paziente, fedele, sempre pronto ad accogliere chi torna a Lui. Il figlio ribelle rappresenta Israele… e rappresenta anche noi. Per quanto possiamo allontanarci, la fedeltà di Dio resta immutabile.
Se Dio è così fedele, come possiamo rispondere? A volte, come i giudei del tempo di Paolo, cerchiamo scuse per non affrontare il nostro cuore:
- “Dio, mi hai fatto così; quindi, non è colpa mia se pecco!”
- “Dio, hai permesso questa tentazione; quindi, non puoi biasimarmi se ho ceduto!”
- “Dio, se davvero mi amassi, non sarei in questa situazione!”
Ma la fedeltà di Dio non è un alibi per il peccato. Dio non ci ha mai abbandonati. Anche quando noi inciampiamo, Egli rimane saldo e continua a chiamarci a Sé. Allora la domanda non è più: “Dio ha sbagliato?”, ma: “Come sto rispondendo alla Sua fedeltà?”.
La grazia non è un lasciapassare per il peccato, ma la potenza che ci trasforma. Non possiamo cambiare da soli, ma Dio ci ha donato il Suo Spirito. Se cadiamo, rialziamoci sapendo che la Sua fedeltà ci sostiene. Non siamo soli nella lotta: lo Spirito Santo è con noi per trasformarci e darci la forza di cambiare. Se Dio è rimasto fedele a noi, possiamo anche noi rispondere con una vita che Lo onora.
La giustizia di Dio e la nostra responsabilità
Ma se la nostra ingiustizia fa risaltare la giustizia di Dio, che diremo? Che Dio è ingiusto quando dà corso alla sua ira? (Parlo alla maniera degli uomini.) No di certo! Perché, altrimenti, come potrà Dio giudicare il mondo? Ma se per la mia menzogna la verità di Dio sovrabbonda a sua gloria, perché sono ancora giudicato come peccatore? Perché non «facciamo il male affinché ne venga il bene», come da taluni siamo calunniosamente accusati di dire? La condanna di costoro è giusta. (Romani 3:5-8)
Paolo affronta un altro ragionamento perverso, che cerca ancora una volta di giustificare il peccato: “Se Dio è glorificato nonostante il nostro peccato, allora il peccato non è poi così male? Se la nostra ingiustizia fa risaltare la Sua giustizia, allora perché Egli dovrebbe punirci?”.
Questa logica è ingannevole e pericolosa, perché trasforma la grazia in un pretesto per il peccato. È un modo per dire: “Se Dio può trarre il bene dal male, allora tanto vale fare il male!”.
Eppure, questa stessa mentalità esiste ancora oggi. La sentiamo in affermazioni come:
- “Dio è amore, quindi alla fine perdona tutti.”
- “Non importa come vivi, tanto Dio capisce e ti accetta lo stesso.”
- “Se il peccato è inevitabile, allora non è colpa nostra.”
Ma Paolo risponde con fermezza: “La loro condanna è giusta”. Chi ragiona così non ha capito il Vangelo. Il peccato ha un costo reale. Non è un’illusione. Non è un dettaglio da trascurare. È il motivo per cui Cristo ha sofferto ed è morto sulla croce.
Poche settimane fa, un uomo di nome Matthew Huttle è stato ucciso dalla polizia durante un controllo stradale. Ciò che rende questa storia sorprendente è che Huttle era tra coloro che erano stati graziati dal presidente Trump per il loro coinvolgimento nell’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021. Ma invece di vivere in modo nuovo, è tornato nei guai con la legge.
Questo ci fa riflettere: quanto spesso riceviamo una seconda possibilità ma continuiamo a vivere come prima? La grazia non è solo un dono, è un’opportunità di cambiamento. Se un uomo graziato dalla giustizia umana torna a delinquere, possiamo dire che ha davvero compreso il valore del perdono ricevuto? E allora perché pensiamo di poter trattare la grazia di Dio nello stesso modo?
Quando pecchiamo con leggerezza, dimentichiamo le spine sulla fronte di Cristo. Quando giustifichiamo il nostro peccato, ignoriamo i chiodi nelle Sue mani. Quando trattiamo la grazia come una licenza per peccare, rendiamo vana la Sua sofferenza. La croce non è solo un simbolo. È il segno del costo infinito della nostra salvezza.
C’è una differenza profonda tra lottare con il peccato e giustificarlo. Un credente può cadere, ma non cerca scuse. Un credente può lottare con il peccato, ma non lo difende. Un credente non dice “Dio capisce”, ma “Dio, trasformami con la potenza del tuo Santo Spirito!”.
Dio conosce le nostre debolezze, ma non ci lascia nelle nostre debolezze. Se ci sono peccati che stiamo minimizzando, anziché confessarli… Se ci sono compromessi che stiamo giustificando, anziché affrontarli… Se la grazia ci sembra scontata, invece di vederla come un dono prezioso… Allora è tempo di tornare alla croce e ricordare chi siamo in Cristo.
Oggi Paolo ci ha insegnato che Dio è fedele anche quando noi siamo infedeli. La Sua grazia non è però un lasciapassare per peccare, ma una chiamata alla trasformazione. La domanda non è se Dio sarà fedele, perché lo è sempre stato. La vera domanda è: come rispondiamo alla Sua fedeltà? Dio non ci forza, ma ci invita. Ci chiama ogni giorno ad avvicinarci a Lui. Non per paura. Non per senso di colpa. Ma perché, quando camminiamo con Lui, siamo davvero liberi. Oggi, Dio ti chiama. Ascolta la Sua voce. Non rimandare. Apri il tuo cuore, lascia che la Sua fedeltà ti avvolga e che la Sua grazia ti trasformi. Lui è rimasto fedele a te. Ora, come risponderai?
Amen