La misericordia che va oltre l’apparenza

14 Marzo 2021

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Giovanni Accadia

Giovanni Accadia

Anziano

In questo periodo stiamo meditando sulla misericordia di Dio attraverso la storia di Giona. Abbiamo notato la misericordia di Dio verso questo profeta disubbidiente e ribelle. Oggi invece vedremo un altro aspetto della misericordia e un altro personaggio, molto differente da Giona.

Questa mattina voglio parlare della misericordia che va oltre l’apparenza, riflettendo su quattro punti:

  1. Dio può agire nella nostra vita in modo che all’apparenza non ci sembri misericordioso. A volte quindi non riconosciamo la Sua misericordia.
  2. A volte la nostra misericordia ci spinge ad alleviare o allontanare la sofferenza, non riuscendo così a raggiungere il vero bisogno nascosto.
  3. La misericordia che va oltre l’apparente benessere. Avere misericordia di chi apparentemente non ha bisogno di nulla.
  4. La misericordia che salva l’anima

Quando la misericordia di Dio non appare – la sofferenza

 

Vogliamo scoprire come la misericordia di Dio si concilia con la sofferenza dell’uomo.

Visto che stiamo trattando la misericordia di Dio mentre ci troviamo nel mezzo di una crisi a livello mondiale, vogliamo capire come la misericordia di Dio è attiva verso le persone confrontate con il dolore, la sofferenza o qualsiasi tipo di prova.

Ci troviamo nel periodo giusto per porci la seguente domanda: Dio continua ad essere misericordioso in questo momento?

Ci sono circostanze della vita che ci spingono a pensare che Dio sia un po’ meno misericordioso. Soprattutto quando arrivano prove e sofferenze che non sono legate al nostro peccato o alla nostra disubbidienza. È possibile che Dio alteri un po’ il il Suo grado di misericordia?

Impiegherò quasi tutta la predica per dire semplicemente che Dio rimane perfettamente misericordioso sempre e che vuole usare la Sua misericordia, verso di noi e tramite noi.

Non so a quanti di voi è capitato in quest’ultimo anno di sentirvi un po’ strani, stanchi o con qualche sintomo e di fare subito una ricerca su google per sapere se i vostri fossero sintomi da covid-19. Così avete letto con attenzione tutte le informazioni e i vari elenchi di sintomi e decorsi.

Stamattina vorrei però leggervi un altro elenco. Non so dirvi di che malattia si tratti, ma il quadro è abbastanza inquietante:

dolorose ulcere suppuranti su tutto il corpo, con presenza di vermi e formazione di croste polverose, con conseguente annerimento e disfacimento della pelle; violenta febbre, forti pruriti e irritazioni, profondo dolore, perdita dell’appetito, grave alitosi, caduta dei denti, agonizzante disagio, insonnia, allucinazioni, drastica perdita di peso.

Vi tranquillizzo subito: non è una nuova variante.

Questa descrizione viene dalla Bibbia, e descrive lo stato di un uomo quasi in fin di vita. Avete capito di chi si parla? Giobbe.

Giobbe, al contrario di Giona, è riconosciuto come un uomo giusto, che viveva in ubbidienza a Dio.

In Giobbe 1:8 c’è scritto: “

Il Signore disse a Satana: “Hai notato il mio servo Giobbe? Non ce n’è un altro sulla Terra che come lui sia integro, retto, tema Dio e fugga il male.”

Pensando a circostanze amare della vita non possiamo non considerare la vita di Giobbe.

La sua malattia e condizione non erano legati a qualche sua disubbidienza; e non era in corso un’epidemia in cui erano quindi coinvolte più persone. I suoi sintomi erano voluti direttamente dal Signore.

Ricordiamoci che ho elencato solo l’aspetto fisico della sua sofferenza. Ho così cercato di definire la misericordia di Dio anche verso questo personaggio.

Proviamo a calarci nei panni di Giobbe e a chiederci se Dio sia veramente compassionevole e misericordioso nei suoi confronti. La fede di Giobbe vacillava, perche non capiva più la misericordia di Dio per la sua vita. Le sue convinzioni teologiche (per esempio che Dio è buono verso quelli che Lo cercano) erano in contrasto con ciò che stava vivendo.

E ha tutta la nostra comprensione. Giobbe si sentiva troppo giusto per meritarsi tutte quelle sofferenze. Lamentandosi, maledisse il giorno della sua nascita e, ad un certo punto, voleva anche morire nel vedere tutta questa “ingiustizia” nei suoi confronti.

Giobbe 9:21-22:

“Sono innocente? Si, lo sono! Di me non mi preme, io disprezzo la mia vita! Per me è la stessa cosa! Perciò dico: Egli distrugge ugualmente l’integro e il malvagio.”

Una cosa importante va detta: Giobbe non ha mai rinnegato Dio. La sua fede ha resistito e Satana ha perso. Tuttavia Giobbe era pienamente convinto che Dio fosse la causa di tutte le sue sventure.

In Giobbe 19:10 leggiamo:

“Mi ha demolito pezzo per pezzo e io me ne vado. Ha sradicato come un albero la mia speranza.”

Ed aveva ragione su questo: Satana era solo uno strumento che Dio aveva già previsto. Ma Giobbe non capiva il perché; si chiedeva se Dio fosse davvero misericordioso.

Nella mente di Giobbe era radicato un concetto teologico abbastanza comune per la mentalità ebraica: la dottrina della retribuzione, per la quale Dio mi benedice e mi fa prosperare nella misura in cui io Gli sono ubbidiente.

La Bibbia è piena di promesse che dimostrano questa dottrina, soprattutto verso il popolo d’Israele.

Giobbe quindi, essendo un uomo giusto, si aspettava di vedere la misericordia e la benedizione di Dio nella sua vita, in un modo molto materiale.

Infatti, anche secondo la logica dei suoi amici, Giobbe doveva per forza aver commesso qualche peccato grave, e lo esortavano a riconoscere e confessare il proprio peccato.

Giobbe, invece, sapeva di non aver commesso dei peccati così gravi da meritarsi tutta quella sofferenza, e non credo si sbagliasse su questo. Ovviamente riconosceva di essere un peccatore ma di base si riconosceva integro davanti a Dio.

 Comunque lo stesso tipo di concetto lo troviamo più volte nella Bibbia:

  • i marinai nella storia di Giona, che erano persuasi del fatto che la tempesta fosse causata dal peccato di qualcuno dei presenti.
  • I discepoli di Gesù, in Giovanni 9:2 “I Suoi discepoli lo interrogarono: Maestro, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?”

È giusto associare le benedizioni pratiche di Dio ad un cammino fedele e di ubbidienza alla Sua parola? Direi di sì, generalmente è così, come popolo d’Israele, come nazione, come Chiesa, come famiglia o singolo.

Eppure intorno a noi, vediamo tante care persone che sono colpite da una sventura dopo l’altra. Ci chiediamo come mai proprio a queste persone Dio abbia permesso così tanta sofferenza. 

Dov’è finita la misericordia di Dio?

Ci rendiamo subito conto che la convinzione basata sulla retribuzione divina che dipende dal comportamento umano, non è solo legata alla cultura ebraica, ma è presente anche nella nostra.

Quando incontriamo qualcuno carico di sofferenze incomprensibili, che non sono arrivate per colpa sua, possiamo presentargli un Dio misericordioso? La risposta è sì!

Dio rimane misericordioso, e chi soffre “ingiustamente” ha assolutamente bisogno che gli si parli della misericordia di Dio!

Pensiamo per un attimo di andare a visitare Giobbe. Immaginiamoci la scena quindi, ammesso che avremmo il coraggio di guardarlo in quelle condizioni e di non svenire per la puzza; e ammesso che poi lui ci senta bene e che riesca a farsi capire considerando che è senza denti.

Proviamo ad avvicinarci e dirgli: “Secondo te, Giobbe, Dio è misericordioso?” Oppure: “Ti va di parlare della misericordia di Dio?”

Sicuramente preferiremmo parlare della creazione, della santità, dell’onniscienza di Dio, ma non della misericordia!

Se Dio dovesse chiedermi di andare a parlare a Giobbe della misericordia, io credo che preferirei fare come Giona: andrei via, o da chiunque altro, ma non da Giobbe.

Noi parliamo della misericordia e sappiamo che Dio rimane sempre misericordioso, ma nella realtà non ci appare sempre così. Per noi è più facile definire la misericordia di Dio quando tutto va liscio, quando stiamo bene e non ci manca nulla.

Ci sentiamo più sicuri a condividere la misericordia di Dio in relazione alle benedizioni che si ricevono da Dio, invece che promuoverla nella sofferenza.

Se non riusciamo a riconoscere la misericordia di Dio nel mezzo delle difficoltà e delle sofferenze, oggi in particolar modo, eviteremo automaticamente la via della sofferenza; eviteremo magari le persone che stanno soffrendo e che sono disperate, perché noi stessi saremo confusi e insicuri riguardo all’agire di Dio.

E’ molto importante perciò che noi conosciamo Dio e la Sua misericordia. Un misericordia che non equivale semplicemente a risparmiarci da qualcosa di negativo, non equivale a una benedizione apparente.

Oltre alla sofferenza c’è il vero bisogno dell’uomo

 

Oltre a non riconoscere la misericordia di Dio nella sofferenza, abbiamo un altro rischio: quello di usare misericordia verso gli altri, limitandoci ad allontanare la sofferenza, non riuscendo così a raggiungere il vero bisogno nascosto.

Quando vediamo una persona come Giobbe, è inevitabile essere impietositi dallo stato di sofferenza e miseria che abbiamo davanti ai nostri occhi.

Visitando Giobbe, avremmo subito inseguito i bisogni pratici, prendendoci carico di una lunga lista di impegni e servizi da offrirgli, e concentrandoci a pregare per una guarigione fisica come risoluzione di ogni problema.

Il rischio in tutto questo è quello di investire tantissime energie, perdendo di vista il vero bisogno, quello per il quale Dio è già in movimento. Dio mira al bisogno dell’anima; è toccato prima di tutto dalla miseria spirituale dell’uomo.

E’ vero, ci sono diverse ragioni ignote sul perché della sofferenza, essendo legata ad un piano celeste. Ma una di queste ragioni rimane il bisogno spirituale.

Leggiamo insieme in Giobbe 42:5 e scorpiamo oltre l’apparenza, quale era il vero bisogno di Giobbe, che all’inizio né lui, né i suoi amici erano riusciti a identificare. Ma la misericordia di Dio puntava a questo bisogno.

Giobbe dice, rivolgendosi a Dio:

“Il mio orecchio aveva sentito parlare di Te, ma ora l’occhio mio ti ha visto.” (Giobbe 42:5)

Domanda di applicazione: Puoi vedere “dei Giobbe” ai quali far visita senza avere paura? Che puoi aiutare a far sì che incontrino e conoscano Dio più profondamente?

Il bisogno dell’uomo è di conoscere il proprio glorioso Dio sovrano, e la misericordia di Dio punta a questo. Giobbe temeva Dio, fuggiva dal peccato e di conseguenza Dio lo benediceva.

Tutto questo all’improvviso si era fermato, al di là di tutte le ragioni a noi nascoste, che solo Dio conosce. Ora, nella vita di Giobbe, era giunto il momento di soddisfare un altro bisogno: conoscere Dio sempre di più, sempre meglio. La misericordia di Dio punta sempre al bisogno dell’anima.

Quando il bisogno vero dell’anima viene  appagato, riconosciamo la misericordia di Dio, e tutto trova un senso, persino la sofferenza. 

Dio addirittura provoca le sofferenze, come nella storia di Giobbe; provoca le tempeste come nella storia di Giona, proprio con lo scopo di colmare un bisogno più profondo, molto più importante.

In lamentazioni 3: 31-33 leggiamo: 

“Il Signore infatti non respinge per sempre; ma, se affligge, ha pure compassione, secondo la sua immensa bontà; poiché non è volentieri che egli umilia e affligge i figli dell’uomo.”

Quando non scaviamo nei veri bisogni dell’anima, sia nostra che di chi ci sta intorno, useremo la misericordia come palliativo che mira a un bisogno momentaneo, che allevia un po’. Cercheremo soluzioni veloci, concrete e soprattutto indolore.

Siamo abituati a consigliare “Prenditi una vacanza… cambia compagnia… ricordati quanto sei prezioso… se ti fa sentire bene sappi che prego per te…. e ricorda anche quel versetto: che alla fine tutte le cose cooperano al bene di quelli che amano Dio” e così via.

Tutti consigli buoni, belli, che possono aiutare; ma soddisfano il vero bisogno? 

Quando ho avuto un inizio di polmonite un po’ di tempo fa, all’inizio non sapevo cosa avessi. Mi limitavo ad abbassare la febbre, curare il mal il di testa, i dolori articolari e la tosse. Usavo rimedi che mi davano sollievo, pensando che appena mi sarei sentito un po’ meglio sarei subito tornato al lavoro.

Ci volle invece una visita medica ed esami del sangue per capire il mio reale bisogno. Avevo bisogno di una cura con antibiotici. 

I rimedi palliativi che risolvono sul momento, è vero, sono utili e vanno usati, ma se ci accontentiamo di quelli, col tempo la nostra situazione peggiorerà. Ignorando il vero bisogno, il vero problema, diventeremo sempre più tecnici, superficiali e insensibili alla sofferenza spirituale nostra e di chi ci sta accanto.

Sono convinto che Dio voglia che ci avviciniamo alla sofferenza per promuovere la Sua misericordia, anzi, Dio ci chiama a soffrire con chi soffre.

Chi se non io, se non noi credenti, possiamo occuparci dei bisogni dell’anima? Chiediamo a Dio un cuore sensibile e compassionevole come il Suo. Chiediamo a Dio, se necessario, di togliere quegli ostacoli che ci impediscono di soccorrere e aiutare.

Chiediamo di farci riconoscere il tipo di peccato che ci rende insensibili al bisogno delle anime, ricordando che Dio si serve della sofferenza per lo scopo di mettere a nudo il nostro bisogno di Dio.

Domanda di applicazione:  al di là di qualsiasi circostanza, riconosci questo bisogno nelle relazioni che vivi? Riconosci questo bisogno anche dentro di te?

Forse fin’ora non ti sei identificato con tutta questa sofferenza. Attorno a te è tutto tranquillo, si sta bene. Sei in una zona di confort. Sei circondato da persone che non mostrano grandi problemi.

Allora passiamo al terzo punto. 

Oltre il benessere c’è il vero bisogno dell’uomo

    Il nostro bisogno di Dio anche in mezzo al benessere rimane sempre lo stesso: incontrare e conoscere Dio.

    Il piacere del benessere può portarci ad apprezzare qualcos’altro più di Dio, facendoci dimenticare Dio e facendoci sentire soddisfatti dei doni che Egli ci dà. Darci delle buone cose può rovinarci tanto quanto il non darcele.

    Un giorno a Gesù è capitato proprio questo tipo di persona e nella Sua misericordia, aveva già capito il suo bisogno. La maggior parte di noi conosce l’incontro che Gesù ebbe con il giovane ricco.

    Marco 10: 17-22:

    “17 Mentre usciva per mettersi in viaggio, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere la vita eterna?». 18 Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. 19 Tu conosci i comandamenti: Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non dire falsa testimonianza, non frodare, onora il padre e la madre».

    20 Egli allora gli disse: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza». 21 Allora Gesù, fissatolo, lo amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi». 22 Ma egli, rattristatosi per quelle parole, se ne andò afflitto, poiché aveva molti beni.”

     

     Osserviamo che il giovane si inchina davanti a Gesù, riconosce la Sua autorità divina; riconosce che Gesù è buono; conosce le Scritture, le mette in pratica e desidera la vita eterna.

    Non so quante volte vi è capitato di dialogare con un non credente di questo tipo, che alla fine ti chiede: “Cosa devo fare per ricevere la vita eterna?” Bellissimo!

    Diremmo a questa persona: “Stupendo! Dio è già all’opera in te! Ti mancano tre cose semplici: accettare il dono gratuito di Dio; credere che Gesù è figlio di Dio ed è morto per te; e confessare i tuoi peccati!”

    Questo però non bastò al giovane ricco! La prima cosa che fece Gesù, la leggiamo al versetto 21: “Gesù guardatolo l’amò.” E poi Gesù aggiunse, sotto l’impulso della misericordia: “una cosa ti manca…”

    Una misericordia che vede il reale bisogno e che è pronta a rischiare il rifiuto di sé stessi. Desiderare Cristo a qualunque costo, questo mancava al giovane. Gesù chiese al giovane di calcolare bene la sua fede.

    Al versetto 22 leggiamo “Ma egli, rattristato da quella parola, se ne andò dolente, perché aveva molti beni.”

    Non voglio creare equivoci: prima di tutto non conosciamo i cuori, come Dio. In secondo luogo non voglio dire che sia sbagliato chiedere di credere in Gesù, di accettare che la vita è un dono gratuito e di confessare i peccati.

    Non voglio dire che tutto ciò sia scorretto, ma forse affrettato, e rischiamo di non vedere il reale bisogno. C’è il rischio di usare un tipo di misericordia superficiale, che cerca un rimedio veloce, che allevia, soddisfa e non delude nessuno. Probabilmente al posto di Gesù, noi avremmo fatto così.

    Quante persone intorno a noi vivono una vita apparentemente tranquilla; si sentono appagate in ciò che fanno, senza particolari sofferenze, ma in realtà hanno dei grandi bisogni di misericordia divina.

    Una misericordia che salva

     

    Ho bisogno che Dio risvegli il mio cuore, i nostri cuori, che possiamo vedere il bisogno del nostro prossimo, perché nella maggior parte dei casi il nostro prossimo non è capace nemmeno di vederlo per se stesso.

    Quante brave persone conosciamo che vivono una vita dignitosa, eticamente buona, ma quando parliamo di come ricevere o chiediamo loro come ricevere la vita eterna emerge una certa arroganza, affermando generalmente che dentro di loro c’è qualcosa di buono ed è quanto basta per redimersi l’anima.

    È impossibile per l’uomo salvarsi.

    Sarebbe meno difficile per l’uomo compiere l’opera della creazione invece che quella della redenzione, della salvezza! Per l’una Cristo non ha faticato, per l’altra si invece.

    E noi possiamo essere gli unici che vedono il bisogno di queste persone.

    Le persone quando si avvicinano a te cosa trovano?

    Dio non è cambiato, non ha smesso di usare misericordia verso il mondo, in questo periodo particolare siamo il suo  strumento di misericordia che ricerca i bisogni veri nelle anime.

    Credo che in tutta la Bibbia ci sia solo un uomo di cui è scritto che provava una profonda angoscia per lo stato di perdizione dei suoi parenti non credenti; che desiderasse in modo preoccupato e angosciante che qualcuno andasse ad evangelizzare i suoi fratelli; che vedeva il bisogno in un modo vivido.

    La cosa più triste è che lui non poteva fare assolutamente niente per la loro salvezza. Per lui era troppo tardi, si trovava già nell’eternità dell’inferno.

    È la triste storia del ricco e di Lazzaro in Luca 16:

    “22 Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. 23 Stando nell’inferno tra i tormenti, levò gli occhi e vide di lontano Abramo e Lazzaro accanto a lui. 27 E quegli replicò: Allora, padre, ti prego di mandarlo a casa di mio padre, 28 perché ho cinque fratelli. Li ammonisca, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento.”

    Non c’è un grido più forte che possa colpire un missionario o un evangelista, di quello che esce dall’inferno:  il grido di una persona perduta che supplica di mandare qualcuno a casa sua perché ha cinque fratelli non credenti.

    Domanda di applicazione: cosa ti impedisce di vedere l’urgenza di salvezza intorno a te, nelle tue relazioni?

    Chiunque può usare misericordia verso il prossimo, ma la misericordia che mira al bisogno delle anime nasce solo dalla comprensione del nostro stato di uomini peccatori, bisognosi della grazia e della salvezza di Dio.

    Chiunque può usare misericordia, ma se le nostre opere misericordiose non sono accompagnate dal messaggio del Vangelo, che misericordia è?

    Se la maggior parte di persone intorno a me mi considera una persona misericordiosa, questo è bello, ma non sa neanche che sono credente, che misericordia è?

    Si, perché la misericordia vera che aveva Gesù, rivelava sempre qualcosa di sé, di Suo Padre. Gesù certamente aveva compassione di bisogni molto umani e materiali.

    Ma tutte queste Sue opere misericordiose erano accompagnate dalla testimonianza di chi era e miravano alla rivelazione di Dio.

    Per poter usare la vera misericordia verso il prossimo, è necessario che noi stessi abbiamo sperimentato e continuiamo a sperimentare la misericordia di Dio secondo il nostro bisogno spirituale.

    Anche quando la nostra misericordia verso il prossimo è ridotta ad essere molto superficiale, possiamo contare sulla compassione e il perdono di Dio. Nella Sua misericordia non è mai troppo tardi per ricominciare.

    Ricorda sempre quanto Cristo è stato misericordioso con te, tanto che per dimostrartelo, ha dovuto rinunciare alla misericordia di Suo Padre; per te che assolutamente non lo meritavi.

    Tanti paragonano il martirio di Cristo alla croce a quello di tanti altri martiri. Per certi aspetti si può fare un confronto; nella storia leggiamo addirittura di uccisioni peggiori rispetto a quella di Cristo.

    E` vero che questi martiri possedevano lo stesso spirito di Cristo mentre affrontavano il martirio, però con una differenza: loro mentre soffrivano addirittura cantavano e gioivano in Dio perché in punto di morte sperimentavano la consolazione di Dio.

    Gesù, invece, non sperimentava nessuna consolazione da Suo Padre. Rispetto a tutti gli altri martiri, era abbandonato da Dio. Non possiamo tacere e non vogliamo essere indifferenti di fronte a questo enorme prezzo che Cristo ha pagato per noi.

    Questo è il grande costo della misericordia divina in nostro favore.

    Se c’è qualcuno qui che vede il proprio bisogno spirituale, e non ha mai accettato la Sua misericordia, sappia che Cristo ha dato la Sua vita per portarti da uno stato di miseria spirituale, alla piena soddisfazione.

    E Dio ti chiama a sé con queste parole:

    Gioele 2: 12-13 «Nondimeno, anche adesso», dice il SIGNORE, «tornate a me con tutto il vostro cuore, con digiuni, con pianti e con lamenti!». Stracciatevi il cuore, non le vesti; tornate al SIGNORE, vostro Dio, perché egli è misericordioso e pietoso, lento all’ira e pieno di bontà, e si pente del male che manda.

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