La santificazione non è un progetto fai-da-te

29 Giugno 2025

Daniele Scarabel

Daniele Scarabel

Pastore

Qualche anno fa, mio figlio Timo e io abbiamo deciso di costruire un cajón… Abbiamo trovato online un kit con il piano di costruzione e ci siamo detti: “Perché non farlo noi?”. Abbiamo ottenuto il permesso di lavorare in una vera falegnameria, con attrezzi professionali, macchinari di precisione, tutto a disposizione.

Eppure… abbiamo passato l’intera mattinata a lavorare da soli, senza chiedere aiuto ai falegnami che erano lì. Il risultato? Un cajón piuttosto deludente. Avevamo i mezzi, ma non avevamo le competenzel’umiltà di chiedere aiuto.

Questo cajón è un’immagine perfetta di come spesso viviamo la nostra vita spirituale.

Vogliamo “fare bene”, crescere, piacere a Dio… Ma proviamo a farlo da soli. Con le nostre forze, con i nostri sforzi, magari anche leggendo la Bibbia come un manuale tecnico… ma senza dipendere realmente da Cristo e dallo Spirito Santo.

Il risultato? Una santificazione approssimativa, deludente, frustrante. Una spiritualità… stonata. Il testo di oggi, Romani 7:14–25, ci mostra una cosa molto chiara: La santificazione non è un progetto fai-da-te. E la buona notizia è questa: Non deve nemmeno esserlo.

Vuoi il bene… ma fai il male

Sappiamo infatti che la legge è spirituale; ma io sono carnale, venduto schiavo al peccato. Poiché ciò che faccio io non lo capisco: infatti non faccio quello che voglio, ma faccio quello che odio. Ora, se faccio quello che non voglio, ammetto che la legge è buona; allora non sono più io che lo faccio, ma è il peccato che abita in me. (Romani 7:14-17)

Qui Paolo non sta parlando di un non credente ribelle che non si interessa di Dio, ma di un credente che ama sinceramente Dio. È la triste descrizione di ogni persona che vuole piacere a Dio… ma non riesce. Di chi approva la volontà di Dio con la mente, ma non riesce a metterla in pratica.

Questa non è ipocrisia. È una tensione interiore, un reale conflitto. È come dire: “So bene cosa Dio vuole. Lo voglio anche io. Ma poi… mi ritrovo a fare ciò che odio”. La diagnosi di Paolo è: “Io sono carnale, venduto schiavo al peccato”.

Ma aspetta un attimo… Paolo non ha appena detto in Romani 6 che non siamo più schiavi del peccato? Sì. Ma qui sta parlando della nostra esperienza quando cerchiamo di vivere per Dio con le nostre forze.

È la storia di chi ama Dio ma cerca di santificarsi da solo. E in quel contesto… si riscopre schiavo del peccato. Impotente. Frustrato.

Proprio come i discepoli nel giardino del Getsemani, che desideravano stare svegli per pregare, e che Gesù mise in guardia dicendo loro:

Vegliate e pregate, affinché non cadiate in tentazione; lo spirito è pronto, ma la carne è debole. (Matteo 26:41)

In Romani 7 Paolo ci sta togliendo ogni illusione dell’auto-santificazione: conoscere la volontà di Dio non basta. Volerla non basta. Serve una forza che viene da fuori.

È come quando acquisti un armadio IKEA. Hai le istruzioni, hai magari anche la voglia di costruirlo, ma ti mancano gli attrezzi… o peggio ancora, la pazienza.

Decidi di montarlo di sera, dopo una lunga giornata di acquisti, e ti ritrovi a usare un coltello invece di un cacciavite, a forzare le viti sbagliate… e alla fine ti ritrovi, nella migliore delle ipotesi, con un armadio storto o con i nervi a pezzi…

E ti dici: “Ma come è possibile? Sapevo cosa dovevo fare!”.

Anche nella vita spirituale, possiamo trovarci nella stessa trappola… Ad esempio, a un credente che desidera sinceramente resistere alla pornografia… ma poi cede ogni volta che è stanco o solo.  O a una madre che desidera parlare con calma ai suoi figli… ma quando è esausta, esplode. O a un imprenditore cristiano che ha sul cuore di fare affari in modo integro… ma poi si ritrova a fare compromessi per paura di perdere clienti.

E tu? Ti è mai successo di pensare: “Io non capisco… so cosa è giusto, ma continuo a fare il contrario”? Questo non è segno che sei perduto… È segno che hai smesso di contare su Cristo e stai cercando di vivere da solo.

Dove stai affrontando il peccato con le tue forze? Nel tuo autocontrollo? Nella tua vita sessuale? Nelle parole che dici a casa? Nelle tue abitudini segrete?

Il primo passo non è “fare meglio”, ma riconoscere che non puoi farcela da solo. Come con il cajón: anche con gli strumenti giusti, se non chiedi aiuto, il risultato sarà sempre storto.

Hai le istruzioni… ma non la forza

Difatti io so che in me, cioè nella mia carne, non abita alcun bene; poiché in me si trova il volere, ma il modo di compiere il bene, no. Infatti il bene che voglio, non lo faccio; ma il male che non voglio, quello faccio. Ora, se io faccio ciò che non voglio, non sono più io che lo compio, ma è il peccato che abita in me. Mi trovo dunque sotto questa legge: quando voglio fare il bene, il male si trova in me. Infatti io mi compiaccio della legge di Dio, secondo l’uomo interiore, ma vedo un’altra legge nelle mie membra, che combatte contro la legge della mia mente e mi rende prigioniero della legge del peccato che è nelle mie membra. (Romani 7:18-23)

Paolo entra ancora più in profondità: non è solo che il credente che cerca farcela da solo fallisce… è che non ha le risorse per fare il bene che desidera.

Il problema non è nella volontà, ma nella potenza che manca. Vuole fare il bene… ma non ci riesce. Conosce la legge… ma il peccato è più forte. E conclude:

Trovo dunque in me questa legge: quando voglio fare il bene, il male è presente in me. (Romani 7:21)

È come una legge fisica, una forza costante che agisce sempre. È come dire: “Anche quando sono nel mio momento spirituale migliore, qualcosa dentro di me mi tira verso il basso.”

Questa è l’esperienza del credente che ha il cuore nuovo ma combatte con la carne.

La “carne” (v.18) non è il corpo fisico, ma la nostra natura umana non rigenerata, l’io autonomo. Lo dice anche Paolo nella lettera ai Galati:

Perché la carne ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; sono cose opposte tra di loro, in modo che non potete fare quello che vorreste. (Galati 5:17)

Il conflitto è reale ed è interiore. Anche quando vuoi sinceramente fare la volontà di Dio, c’è qualcosa in te che rema contro.

In Ezechiele 36, Dio promette al suo popolo molto più di un cambiamento esteriore. Promette di trasformare il cuore. E dice:

Vi darò un cuore nuovo e metterò dentro di voi uno spirito nuovo; toglierò dal vostro corpo il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne. (Ezechiele 36:26)

Questa promessa si è realizzata in Cristo. Lui ha dato la sua vita per liberarci.

E ora, a chiunque si arrende a Lui, riconoscendo la propria schiavitù al peccato e la propria impotenza, Dio toglie il cuore di pietra e dona un cuore di carne.

Ma non si ferma qui. Subito dopo aggiunge:

Metterò dentro di voi il mio Spirito e farò in modo che camminiate secondo le mie leggi, e osserviate e mettiate in pratica le mie prescrizioni. (Ezechiele 36:27)

Dio promette un cuore nuovo e lo Spirito Santo per aiutarci a camminare secondo le sue vie.
È Lui che rende possibile la santificazione.

Ma qui, in Romani 7, Paolo lascia un attimo da parte la presenza dello Spirito. È come se dicesse: “Facciamo finta di provare a combattere senza l’aiuto dello Spirito Santo. Come andrà?”. La risposta è: “Malissimo. Sarà un disastro”.

Hai mai provato ad avviare un’auto con la batteria a terra? Hai tutto: l’auto è come nuova, il serbatoio pieno, le chiavi in mano… Ma non parte. Perché manca la potenza. E puoi anche sapere tutto sul motore, conoscere ogni componente… Ma non basta: serve una forza esterna. Serve qualcuno con i cavi, con una batteria carica, pronto a darti l’energia che ti manca.

È così anche nella vita spirituale. Abbiamo la legge, abbiamo il cuore nuovo che desidera le cose giuste… Ma senza la potenza dello Spirito, restiamo fermi. Non partiamo.

Quanti cristiani vivono così? Sanno tutto: conoscono i comandamenti, le promesse di Dio, i frutti dello Spirito… Ma ogni mattina si alzano dicendo: “Oggi ce la farò!” E ogni sera concludono: “Ho fallito di nuovo…”.

Perché? Perché confondono la grazia con la motivazione, e la santificazione con la determinazione.

Se solo fossi più disciplinato…”, “Se solo avessi più forza di volontà…”, “Se solo memorizzassi più versetti…”. Tutte cose utili, certo. Ma non sono sufficienti.

Se guardi alla tua vita spirituale, in quale area stai dicendo: “So cosa fare, ma non riesco”? Dove stai affrontando la crescita spirituale come un progetto fai-da-te?

Hai forse ridotto la Bibbia a un manuale tecnico, dimenticando che senza lo Spirito, il progetto rimane… bloccato?

Come nel nostro cajón: avevamo tutti i macchinari. Anche un piano dettagliato. Ma nessuna idea di come usarli e non abbiamo chiesto aiuto a nessuno. Il risultato non poteva che essere… stonato.

Quindi, se non vuoi che la tua vita spirituale sia “stonata” … cosa puoi fare?

Grida aiuto… e ricevi grazia

Me infelice! Chi mi libererà da questo corpo di morte? Grazie siano rese a Dio per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore. Così, dunque, io con la mente servo la legge di Dio, ma con la carne la legge del peccato. (Romani 7:24-25)

Dopo aver descritto il conflitto interiore (voglio il bene, ma faccio il male) e la propria impotenza (ho le istruzioni, ma non la forza), Paolo non offre una tecnica, una strategia o una formula spirituale. Ci propone un grido d’aiuto.

È tipico, quando lottiamo contro il peccato, al punto di pensare di essere persone terribili, immature o molto indietro nel cammino cristiano… di sperimentare una profonda disperazione.

Ma Romani 7 ci incoraggia: sperimentare la tentazione, il conflitto con il peccato, e perfino qualche ricaduta, è esattamente ciò che significa essere un credente con una fede autentica e in crescita. Se così non fosse, non ti preoccuperesti minimamente del tuo peccato…

Un credente sincero che si rende conto di fallire nella sua lotta contro il peccato arriverà dapprima a gridare: “Me infelice! Chi mi libererà da questo corpo di morte?”.

Questo è il grido di chi ha capito che non può salvarsi da solo.

Tim Keller, nel suo commentario alla lettera ai Romani scrive:

“Senza accettare questa verità, non potremo mai cogliere fino in fondo la gloria del Vangelo. Non potremo mai apprezzare davvero la giustizia ricevuta come dono. Solo se il nostro cuore riconosce sinceramente la propria miseria, può poi scoprire la speranza e la liberazione di distogliere lo sguardo da sé e rivolgerlo a ciò che Dio ha fatto.”

È solo una resa sincera a Dio che apre le porte alla grazia. Chi ci salverà? “Grazie siano rese a Dio per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore!” La risposta non è un “cosa” … ma un “Chi”. Chi è che libera? Gesù Cristo, nostro Signore. È Lui il Liberatore. È Lui che ha già sconfitto il peccato, sulla croce.

Ed è attraverso di Lui che riceviamo anche lo Spirito, come leggeremo nel capitolo 8.

Ma qui, in Romani 7, ci fermiamo ancora un attimo prima, al grido di liberazione, alla consapevolezza che non possiamo… e alla speranza che qualcuno può.

La “legge del peccato” è come la legge di gravità: sempre presente, sempre attiva.

Ma c’è un’altra legge che può vincerla: la legge dell’aerodinamica. Non elimina la gravità… ma la supera. Un aereo non vola perché la gravità sparisce, ma perché un’altra forza, più potente, lo solleva.

Allo stesso modo: la carne e il peccato, saranno con noi finché vivremo… Ma la potenza dello Spirito ci solleva e ci fa camminare in “novità di vita(Romani 6:4).

Forse anche tu sei già arrivato più volte a quel punto. Hai provato. Hai lottato. Hai fallito.

Hai cercato di crescere con più impegno, più sforzo, più disciplina… Ma poi ti ritrovi a gradare nel tuo cuore: “Me infelice! Chi mi libererà?”.

Se è così… sei nel posto giusto. Perché quel grido è l’inizio della vera libertà. È la resa che apre alla grazia. È il momento in cui smetti di tentare da solo… e cominci a dipendere da Gesù.

Se hai già conosciuto Cristo come Salvatore… ma ti accorgi che stai cercando di vivere la vita cristiana senza dipendere da Lui ogni giorno…

Se stai affrontando una battaglia che non riesci a vincere, e hai perso la speranza di cambiare davvero

Allora fai tuo questo grido… e lascia che diventi una preghiera: Signore Gesù, grazie perché non mi chiedi di riuscirci da solo. Grazie perché Tu sei la mia liberazione. Oggi mi arrendo. Mi affido. Mi rialzo. In Te.

Romani 7 non si conclude con una soluzione pratica, ma con un invito alla resa spirituale. È il trampolino verso Romani 8, dove incontreremo lo Spirito che dà vita.
Ma oggi fermiamoci qui, al grido sincero di chi ammette: “Non posso farcela…” e riceve in cambio la grazia che lo solleva.

Amen

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