L’effetto domino del ravvedimento

2 Maggio 2021

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Daniele Scarabel

Daniele Scarabel

Pastore

Poi, per decreto del re e dei suoi grandi, fu reso noto in Ninive un ordine di questo tipo: «Uomini e animali, armenti e greggi, non assaggino nulla; non vadano al pascolo e non bevano acqua; uomini e animali si coprano di sacco e gridino a Dio con forza; ognuno si converta dalla sua malvagità e dalla violenza compiuta dalle sue mani. Forse Dio si ricrederà, si pentirà e spegnerà la sua ira ardente, così che noi non periamo». (Giona 3:7-9)

Quello che successe a Ninive mi ricorda le scene in alcuni drammi giudiziari, dove un criminale condannato dalla corte si dichiara colpevole e si appella alla grazia del giudice. Mi sono chiesto quante volte avviene nella realtà, che a un criminale riconosciuto colpevole venga concessa la grazia. Ho fatto alcune ricerche e ho scoperto che in Svizzera dal 1997 al 2020 sono state presentate un totale di 11 domande di grazia, delle quali solo 2 sono state accolte.

Uno dei due casi riguardava un macellaio reo di aver importato illegalmente una tonnellata di carne. La grazia gli fu concessa tenendo conto della sua situazione personale e perché a dimostrazione del suo pentimento il condannato aveva pagato tasse e dazi doganali per un ammontare di 25’000 franchi. Insomma, era un reato notevole, ma di sicuro non sul piano di un omicidio o di un altro reato, per il quale sarebbe difficile che venga concessa la grazia.

Leggendo la descrizione dei due casi di grazia concessa, ho notato però comunque due cose interessanti: innanzitutto che le richieste di grazia sono veramente poche e ancora meno sono quelle che vengono accolte; poi che in entrambi i casi dove le richieste sono state accolte, si cita il sincero pentimento della persona e la sua disponibilità a fare ammenda.

È simile a ciò che successe a Ninive, dove tutti gli abitanti si affidarono completamente alla misericordia di Dio, mostrando sincero pentimento. Il risultato fu un effetto domino, che partendo dalla consapevolezza collettiva della propria colpa, portò a un ravvedimento individuale e infine a una forte speranza nella misericordia di Dio.

Il ravvedimento collettivo

Poi, per decreto del re e dei suoi grandi, fu reso noto in Ninive un ordine di questo tipo: «Uomini e animali, armenti e greggi, non assaggino nulla; non vadano al pascolo e non bevano acqua; uomini e animali si coprano di sacco e gridino a Dio con forza». (Giona 3:7-8a)

Il re non si limitò a umiliarsi davanti a Dio, andò oltre decretando che tutta la città avrebbe dovuto umiliarsi e gridare a Dio con forza. Il suo decreto riguardava ogni essere vivente all’interno della città, compresi gli animali. Questo approccio del re è interessante, perché indica come l’intera città fosse stata contaminata dal peccato.

Sappiamo che le conseguenze del peccato non si ripercuotono solo su chi lo compie, ma anche sul suo ambiente circostante. Una società o una nazione che abbandona le vie del Signore, finirà con il portare degrado su ogni strato della società. O come dice l’apostolo Paolo:

Sappiamo infatti che fino a ora tutta la creazione geme ed è in travaglio. (Romani 8:22)

Il re desiderava spingere l’intera città a un ravvedimento completo, sfruttando la sua autorità. Per noi lettori occidentali il coinvolgimento degli animali può sembrare strano, ma non era dovuto a qualche strana idea che anche gli animali avessero peccato. Era semplicemente un’usanza orientale ed era del tutto normale a quei tempi.

La Bibbia stessa include a più riprese gli animali sia nella lode al Creatore che nel lamento per la condizione umana e la devastazione ambientale che gli uomini portano al mondo. Un esempio di lode è il Salmo 148, un testo classico dove tutta la creazione, compresi animali selvatici e domestici, rettili e uccelli, è chiamata a lodare Dio. Un esempio di lamento lo troviamo in Gioele 1:10, dove leggiamo che “la terra piange” assieme ai sacerdoti (Gioele 1:9) per la rovina nella quale si trovava Israele.

Immaginate se ci fosse un risveglio simile anche da noi. Se il Presidente della Confederazione chiamasse tutta la popolazione al ravvedimento, come avveniva in passato in occasione della festa federale di ringraziamento, pentimento e preghiera. È poco probabile che accada, ma lo stesso discorso vale per l’esempio che ognuno di noi può dare nel suo piccolo. Non dobbiamo sottovalutare l’impatto che il ravvedimento di una persona può avere su altri.

Perché il decreto del re ha avuto un così grande impatto? Da una parte sicuramente perché era il re, quindi era normale obbedire a un suo decreto. Ma credo anche per il fatto che non si fosse ritenuto superiore al resto del suo popolo. Ha capito che era anche lui ugualmente colpevole davanti a Dio. Ha mostrato con sincerità le sue debolezze e i suoi peccati.

Come potremmo prendere esempio dal re di Ninive? Vivendo con maggiore trasparenza e sincerità la nostra vita con Dio. Quand’è che incoraggiamo altre persone ad ammettere i loro peccati e a consacrare le loro vite a Dio? Dando il nostro esempio in tutta umiltà.

Non è semplicemente insistendo sulle regole da applicare o puntando a un comportamento esteriormente impeccabile, che facilmente puzza di ipocrisia, che daremo il buon esempio. Certo, possiamo e dobbiamo esortare gli altri a ravvedersi e a umiliarsi davanti a Cristo, ma solo se questo è anche il nostro stile di vita.

Le nostre parole potranno avere un forte impatto solo se siamo sinceri e onesti nell’ammettere che anche noi dobbiamo regolarmente umiliarci davanti a Cristo, perché siamo ancora tutt’altro che perfetti. La predicazione di Giona sarà stata particolarmente credibile, anche perché immagino che abbia condiviso la sua personale storia di umiliazione davanti a Dio e perché il suo aspetto esteriore non avrà probabilmente potuto nascondere il fatto che aveva appena trascorso tre giorni nel ventre di un pesce.

Uno dei passaggi che più mi tocca in questo contesto è Galati 6:

Fratelli, se uno viene sorpreso in colpa, voi, che siete spirituali, rialzatelo con spirito di mansuetudine. Bada bene a te stesso, che anche tu non sia tentato. Portate i pesi gli uni degli altri e adempirete così la legge di Cristo. Infatti se uno pensa di essere qualcosa pur non essendo nulla, inganna sé stesso. (Galati 6:1-3)

Il re di Ninive non ha semplicemente usato la propria posizione di potere per emanare un decreto che la città avrebbe dovuto applicare. Diede dapprima l’esempio alzandosi dal suo trono, togliendosi il mantello di dosso, coprendosi di sacco e mettendosi seduto sulla cenere. Fu il suo esempio personale, insieme alle parole di Giona e all’opera dello Spirito Santo a scatenare un effetto domino di ravvedimento collettivo.

Sei consapevole del tuo ruolo di esempio per altri? Sei pronto ad essere parte di una chiesa che si umilia regolarmente davanti al Signore, nella consapevolezza che tutta la nostra vita dipende unicamente dalla grazia e misericordia di Dio?

Il ravvedimento individuale

Ognuno si converta dalla sua malvagità e dalla violenza compiuta dalle sue mani. (Giona 3:8b)

Il re non si limitò a dare il buon esempio, esortò anche ogni singolo cittadino a convertirsi dalla propria malvagità personale. Questa era la causa dei problemi di Ninive. A Dio non importava tanto che si fossero vestiti di sacco e si fossero seduti sulla cenere, digiunando e gridando. Ciò che Dio voleva era vedere la vita di ogni singolo Ninivita trasformata.

Il re sembra essere ben consapevole che quello fosse il vero motivo per cui Dio era arrabbiato con la sua città. Era il loro stile di vita peccaminoso che dispiaceva a Dio. Invece di far finta che il peccato non esistesse o di cercare di sminuirne la gravità, si umiliò, si pentì e ordinò che tutto il popolo abbandonasse immediatamente ogni malvagità e violenza.

L’impero assiro era insolitamente violento. Massacrò e schiavizzò innumerevoli persone e oppresse i poveri. Era famoso per la sua ingiustizia, l’imperialismo e l’oppressione di altri paesi. Eppure il testo mostra che l’impulso verso lo sfruttamento e l’abuso stava anche corrodendo il tessuto sociale di Ninive. La violenza non era rivolta solo all’esterno, gli individui erano violenti gli uni verso gli altri, avvelenando le relazioni sociali.

Ogni volta che nella storia della c’è stato un risveglio, seguito da un ravvedimento collettivo di interi gruppi di persone, uno dei frutti è sempre stata anche la trasformazione della vita individuale di singole persone. Il ravvedimento inizia con la consapevolezza del proprio peccato, che ci spinge a umiliarci e gridare a Dio affinché conceda il perdono. Ma non si ferma lì.

Il sincero ravvedimento spinge la persona che è stata toccata nell’intimo del suo cuore dall’amore e dalla misericordia di Dio a ricercare con passione la presenza del Signore, a volerlo conoscere sempre meglio, a chiedere a lui di mostrargli ogni aspetto della sua vita che ancora non onora e non dà gloria a Dio. Perché? Perché Cristo è tutto ciò che abbiamo!

Ravvedersi significa riconoscere le proprie vie malvagie e abbandonare le azioni peccaminose che abbiamo riconosciuto come tali. Nella vita cristiana, il ravvedimento non descrive ciò che uno deve fare per rivolgersi a Dio, descrive il processo stesso del rivolgersi a Dio. Quando ci rivolgiamo veramente a Lui, ci allontaniamo automaticamente dalle cose che gli dispiacciono.

Possiamo imparare molto dai Niniviti. Troppo spesso, quando ci confrontiamo con i nostri peccati ci rifiutiamo di ammettere umilmente la nostra colpa. Cerchiamo invece di trovare giustificazioni o di relativizzare la portata della nostra colpa. E non sto parlando delle persone del mondo, ma di noi cristiani. Sto parlando della Chiesa.

Forse non ci rendiamo nemmeno conto di quanto il nostro star bene e la libertà religiosa della quale godiamo in Svizzera sia a volte un grande ostacolo a una sincera vita di ravvedimento. Essere cristiani ci costa ben poco ed è facile perdere di vista il perché lo siamo diventati, ovvero per diventare sempre più simili a Cristo.

Nei giorni scorsi ho conosciuto un pastore di una chiesa in Pakistan. Mi ha raccontato di quanti mussulmani si sono convertiti al cristianesimo l’anno scorso, di persone che hanno sperimentato miracoli e guarigioni, che hanno abbracciato la fede in Cristo. Ma ha anche condiviso la tristezza per il fatto che la gran parte di loro dopo pochi mesi sono tornati all’Islam, alla vita di prima. Qual è il problema? Non erano disposti a pagare il costo del seguire Cristo.

Molti cristiani in Pakistan perdono la vita a motivo della fede, soprattutto chi si è convertito dall’Islam. Se quindi il ravvedimento e il desiderio di seguire Cristo non è sincero e se non è avvenuta una vera trasformazione del cuore da parte dello Spirito Santo, quelle persone che hanno conosciuto la fede cristiana difficilmente supereranno le prove della persecuzione.

E com’è da noi? Qui di persecuzione non ce n’è… Abbiamo tutte le libertà di religione e di espressione. Quanto saremmo noi disposti a sacrificare per la nostra fede in Cristo? Cristo è così importante per te, che saresti cristiano anche se significasse dover sacrificare il tuo lavoro, la tua libertà, la tua ricchezza, la tua famiglia o addirittura la tua vita?

Che sia chiaro, nemmeno io riesco sempre a vivere nella piena consapevolezza di chi sono e di ciò che ho in Cristo. Ho regolarmente bisogno di sottopormi a un “reality check”, per rivalutare le mie priorità e focalizzarmi nuovamente su ciò che significa per me vivere per Cristo. Anche io a volte tendo a trovare delle scuse per il mio peccato o tento di giustificarmi, ma non voglio che questo diventi la normalità. Né per me, né per la nostra Chiesa.

Perché? Perché è la speranza nella misericordia di Dio a motivarmi! Ricordate le ultime parole del re nel suo decreto?

La speranza in Dio

«Forse Dio si ricrederà, si pentirà e spegnerà la sua ira ardente, così che noi non periamo». (Giona 3:9)

Anche se il messaggio di Giona sembra indicare solo l’imminente giudizio, è evidente che qualcuno, o forse il re stesso, debba aver chiesto a Giona se ci fosse una qualche speranza di salvezza. E la speranza noi sappiamo che c’è, perché il nostro Dio è misericordioso!

Guardare dentro di noi e riconoscere i nostri limiti, non ci lascia nella disperazione e senza speranza, perché è Cristo stesso a darci nuova speranza. Qualcosa nelle parole di Giona o nell’intervento dello Spirito Santo deve aver convinto il re che Dio, di fronte a un sincero e concreto ravvedimento, avrebbe potuto ricredersi, pentirsi e abbandonare le sue intenzioni di distruggere la città.

Il vero ravvedimento non lascia mai la coscienza appesantita, perché come scrive Paolo ai Corinzi, “la tristezza secondo Dio produce un ravvedimento che porta alla salvezza, del quale non c’è mai da pentirsi” (2 Corinzi 7:9). L’iniziale tristezza per aver riconosciuto il proprio peccato lascia presto spazio alla gioia per aver ottenuto il perdono di Dio. Ogni volta che lo Spirito Santo ci confronta con il peccato, ci dona sempre anche nuova speranza.

Sul perché il re credeva di poter far cambiare idea a Dio e sul significato del fatto che Dio “si pentì del male che aveva minacciato di far loro” (Giona 3:10), ci soffermeremo domenica prossima. Oggi, voglio solo guardare alla reazione del re, che si sottomise totalmente alla grazia di Dio senza pretendere nulla. Il re era ben consapevole che il loro ravvedimento non obbliga né mette in alcun modo Dio in debito con loro.

A questo punto potrebbe essere utile riflettere un attimo sulla nostra vita, sia individualmente che come Chiesa. Diamo forse per scontato l’amore, la grazia e la pazienza di Dio? Siamo forse arrivati a credere, sbagliando, che siccome Gesù è morto per i nostri peccati, non importa più di quel tanto come viviamo? Se lo facciamo, dovremo affrontarne le conseguenze e allora non avremo nessuno da incolpare, se non noi stessi.

Noi tutti esistiamo per la grazia di Dio. Continuiamo a mangiare e a dormire, a pensare e a respirare grazie alla grazia comune di Dio. Come credenti abbiamo inoltre la salvezza attraverso il sacrificio di Gesù Cristo e per la grazia di Dio. Eppure, spesso diamo tutto questo per scontato. Diamo per scontato il perdono dei nostri peccati. Diamo per scontata tutta la benedizione che abbiamo.

Spesso ci manca l’umiltà dei Niniviti, che ancora non sapevano nulla della croce! Ricordiamoci che se Dio perdona è sempre per la sua misericordia e non per il nostro ravvedimento. Il ravvedimento non obbliga Dio a nulla, ma apre una porta alla misericordia di Dio. Dio è sovrano in tutto e per tutto, anche nel concederci la sua misericordia.

Amen

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