Quando Dio scrive la nostra storia

27 Luglio 2025

Daniele Scarabel

Daniele Scarabel

Pastore

Hai mai avuto la sensazione che la tua vita non stia andando come avevi immaginato? Che qualcosa ti sia sfuggito di mano, o forse che qualcun altro stia scrivendo la tua storia… ma non nel modo che speravi?

C’è chi guarda alla propria vita e vede solo una serie di imprevisti, inciampi, pagine strappate. Un lavoro che non ha portato dove speravi. Una relazione che si è incrinata. Una perdita improvvisa. Una malattia che non passa. E dentro nasce la domanda: “Ma dove sta andando questa storia? C’è ancora un senso? C’è speranza?”.

Oggi vogliamo ascoltare cosa dice Dio proprio in mezzo a queste domande. Perché la Bibbia non ci nasconde la sofferenza, anzi, la prende sul serio. Ma ci mostra anche che la storia non è finita. E soprattutto: non siamo noi a doverla scrivere da soli.

In Romani 8:18–30, Paolo ci mostra che Dio non è assente nel dolore. Anche quando tutto sembra incerto, Dio lavora: la nostra storia è nelle sue mani.

Soffriamo… ma con speranza

Infatti io ritengo che le sofferenze del tempo presente non siano paragonabili alla gloria che deve essere manifestata a nostro riguardo. Poiché la creazione aspetta con impazienza la manifestazione dei figli di Dio; perché la creazione è stata sottoposta alla vanità, non di sua propria volontà, ma a motivo di colui che ve l’ha sottoposta, nella speranza che anche la creazione stessa sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella gloriosa libertà dei figli di Dio. Sappiamo infatti che fino ad ora tutta la creazione geme ed è in travaglio; non solo essa, ma anche noi, che abbiamo le primizie dello Spirito, gemiamo dentro di noi, aspettando l’adozione, la redenzione del nostro corpo. Poiché siamo stati salvati in speranza. Or la speranza di ciò che si vede non è speranza; difatti, quello che uno vede perché lo spererebbe ancora? Ma se speriamo ciò che non vediamo, lo aspettiamo con pazienza. (Romani 8:18–25)

Nel versetto che precede il nostro testo, Paolo ci ricorda chi siamo: figli di Dio e coeredi con Cristo. Ma aggiunge subito una strana condizione: “Se veramente soffriamo con lui, per essere anche glorificati con lui” (v.17). Paolo mette insieme due realtà che noi spesso vorremmo tenere separate: la sofferenza e la gloria.

È come se ci parlasse oggi, qui, nel mezzo delle nostre sofferenze e fatiche. Non minimizza il dolore: sa bene quanto possa essere duro, quando le notti sembrano interminabili, le risposte lontane e le forze sempre più fragili.

Anche lui conosce persecuzioni, prigioni, naufragi, abbandoni. Ma proprio per questo ci invita a spostare lo sguardo. A non fissarci solo sul presente, ma a vedere tutto in una prospettiva più ampia. Il dolore non scompare, ma viene superato da una gloria più grande.

Ai Corinzi scrive qualcosa di simile:

“La nostra momentanea, leggera afflizione ci produce un sempre più grande, smisurato peso eterno di gloria.” (2 Corinzi 4:17)

E questa speranza non è solo personale: abbraccia tutta la creazione. Il mondo stesso, dice Paolo, geme. Usa l’immagine di una donna che sta per partorire, dove dolore e attesa sono intrecciati insieme. È un gemito che contiene una promessa. La creazione aspetta con impazienza che i figli di Dio siano pienamente rivelati. Aspetta, come noi, che venga alla luce ciò che ora è nascosto.

Questo è un desiderio profondo di Dio che attraversa tutta la Bibbia, dalla caduta dell’uomo in Genesi alla restaurazione dei cieli e della terra in Apocalisse, quando Dio dirà:

“Ecco, io faccio nuove tutte le cose.” (Apocalisse 21:5)

E in mezzo a questa attesa, ci siamo anche noi. Gemiamo, dice Paolo, perché viviamo tra il già e il non ancora: la salvezza è iniziata, ma non è ancora compiuta. Abbiamo ricevuto “le primizie dello Spirito”: lo Spirito Santo abita in noi come primo frutto del raccolto futuro. È un anticipo della gloria, un assaggio del cielo. Ci consola, ci guida, ci trasforma.

È come se Dio ci dicesse: “Quello che ti ho dato ora nello Spirito… è solo l’inizio. Il meglio deve ancora venire”. Eppure, nel frattempo, il corpo soffre. Le domande restano. Le ferite non si chiudono subito.

E anche se alcuni potrebbero vedere tutto ciò come un fallimento, così non è. È invece il segno di una speranza viva, più grande di ciò che si vede. “Siamo stati salvati in speranza”, dice Paolo. La salvezza non è solo alle spalle: è anche davanti a noi. Pietro la chiama una:

“speranza viva mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti.” (1 Pietro 1:3).

Sperare significa guardare avanti, anche quando nulla sembra cambiare. Paolo ci incoraggia ad aspettare con pazienza, con la fiducia di chi sa che Dio mantiene le sue promesse.

Forse anche tu, oggi, stai gemendo. Una situazione familiare che ti pesa. Una decisione difficile sul lavoro. Un dolore fisico. Una relazione incrinata. Un senso di vuoto che non riesci a spiegare a nessuno. E ti chiedi: “Dov’è Dio in tutto questo?”.

In cosa stai sperando, davvero? In una guarigione? In una svolta? In una risposta concreta? Dio può farlo. Dio interviene. Ma la speranza cristiana non si basa sul cambiamento immediato delle circostanze. Si fonda su qualcosa di più profondo: la certezza che Dio sta portando avanti il suo piano glorioso, anche quando non vediamo nulla.

Forse oggi ti senti stanco. Ti sembra che nulla cambi. E ti chiedi: “A cosa serve credere, a cosa serve aspettare?”. Ecco cosa ti dice oggi la Parola di Dio: non giudicare la storia che Dio scrive da un solo capitolo. Quello che vivi ora non è tutta la storia. È solo una scena. Ma la penna è ancora nella mano di Dio. E Lui non lascia mai incompiuta la sua opera.

Soffriamo, sì… ma senza perdere la speranza. Perché in Cristo, ogni attesa ha un compimento. E proprio mentre attendiamo, non siamo lasciati soli. Quando non abbiamo più parole, lo Spirito stesso intercede per noi. Ed è proprio lì che vogliamo andare adesso.

Siamo sostenuti nella debolezza

Allo stesso modo ancora, lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, perché non sappiamo pregare come si conviene; ma lo Spirito intercede egli stesso per noi con sospiri ineffabili; e colui che esamina i cuori sa quale sia il desiderio dello Spirito, perché egli intercede per i santi secondo il volere di Dio. (Romani 8:26-27)

Ti è mai capitato di non trovare le parole giuste con Dio? Vorresti pregare, dire qualcosa, ma resti in silenzio. A volte il cuore è pieno, ma la bocca è vuota. Altre volte sembra che si sia spento anche il desiderio di pregare.

Proprio lì, dice Paolo, entra in scena lo Spirito Santo. Non per giudicarci dall’alto, né per correggere le nostre preghiere sbagliate. Lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza. Non alla nostra forza spirituale, ma al nostro smarrimento. E non lo fa con parole articolate, ma con “sospiri ineffabili”, che dicono molto più di quanto potremmo esprimere.

Significa che sospira con noi. Come quando sei triste e qualcuno ti sta vicino e ti capisce senza che tu debba parlare. Oppure come una madre che stringe il figlio senza bisogno di spiegazioni. Quando le parole mancano, lo Spirito intercede. E lo fa “secondo il volere di Dio”. Mentre noi non sappiamo nemmeno cosa chiedere, Lui sa cosa dire.

Ti è mai capitato di voler esprimere qualcosa di profondo in una lingua che non è la tua? Ti mancano le parole, ti senti frainteso. Così ci sentiamo a volte con Dio. Ma lo Spirito conosce la lingua del nostro cuore e quella del cielo. È un interprete perfetto: traduce i nostri sospiri nella preghiera più giusta, più vera, più profonda.

Spesso immaginiamo che la vita spirituale debba essere fatta di preghiere intense e parole ispirate. E a volte è così. Ma nei momenti difficili, è fatta anche di preghiere spezzate, sospiri affaticati, cuori che non sanno più cosa dire. E proprio lì, Dio si avvicina.

Non si tratta solo di sopravvivere, ma di vivere un’intimità più profonda. Lo Spirito non aspetta che tu torni in forma. Sta già intercedendo in te, adesso.

Cosa significa questo, concretamente? Che anche il tuo silenzio può essere una preghiera. Che le tue lacrime possono parlare. Che quando ti senti indegno di avvicinarti a Dio, lo Spirito ti ha già preceduto.

Ma tu… lo credi davvero? Quando ti mancano le parole, riesci a fidarti che lo Spirito sta pregando per te? Quando ti senti vuoto, riesci a credere che Dio è comunque vicino? E se oggi la tua preghiera fosse solo un sospiro… saresti disposto ad affidarlo a Lui?

Prendiamoci un attimo di silenzio. Lasciamo che lo Spirito preghi dentro di noi.

Questo è il grande paradosso della fede: non siamo mai soli, nemmeno quando ci sentiamo soli. Anche la nostra preghiera più debole è già stata ascoltata, perché Dio stesso la porta a compimento, come leggiamo nei prossimi versetti.

Dio porta a compimento la sua opera

Or sappiamo che tutte le cose cooperano al bene di quelli che amano Dio, i quali sono chiamati secondo il suo disegno. Perché quelli che ha preconosciuti, li ha pure predestinati a essere conformi all’immagine del Figlio suo, affinché egli sia il primogenito tra molti fratelli; e quelli che ha predestinati, li ha pure chiamati; e quelli che ha chiamati, li ha pure giustificati; e quelli che ha giustificati, li ha pure glorificati. (Romani 8:28-30)

Questi versetti sono tra i più citati… e spesso fraintesi. A volte li usiamo come un cerotto spirituale per dire: “Vedrai, andrà tutto bene, Dio trasformerà questo dolore in qualcosa di buono”. Ma cosa intende davvero Paolo?

Non dice che tutto è buono in sé. Il cancro non è buono. La perdita di una persona cara, l’ingiustizia o la solitudine non sono buone. Ma Dio, nella sua sovranità, può usarle per portarci più vicino a Lui.

Anche il credente più saldo, a volte, si chiede: “Cosa sta facendo Dio nella mia vita?”. Eppure, Paolo afferma con sorprendente sicurezza: Sappiamo. Non “sentiamo” o “speriamo”, ma sappiamo che tutte le cose cooperano al bene. La sua è una convinzione profonda: Dio non perde mai il filo della storia, né quella del mondo, né quella personale di chi lo ama.

Ma in cosa consiste questo bene? Non è semplicemente una vita più comoda. Il bene è essere resi simili a Gesù: “Conformi all’immagine del Figlio suo”. Il Padre non ci guida solo verso giorni migliori, ma verso una somiglianza più profonda con Cristo. Questo è il cuore della salvezza: non solo perdono, ma trasformazione.

È ciò che Dio aveva in mente fin dall’inizio, quando disse:

“Facciamo l’uomo a nostra immagine, conforme alla nostra somiglianza.” (Genesi 1:26)

Quell’immagine, oscurata dal peccato, ora viene restaurata in Cristo, il “primogenito tra molti fratelli”. Siamo parte di una nuova umanità, modellata a partire da Lui.

E questa opera non è casuale, né lasciata a metà. È Dio stesso che la conduce, dall’eternità alla gloria. Per questo tanti hanno definito questi versetti la “catena d’oro” della salvezza: ogni anello — predestinati, chiamati, giustificati, glorificati — è saldamente legato all’altro. E Paolo usa tutti i verbi al passato, come a dirci: nella mente di Dio, è già tutto compiuto.

Ogni anello racconta un passo della storia d’amore di Dio per noi:

  • Predestinati”: scelti nel suo cuore prima della fondazione del mondo (Efesini 1:4).
  • Chiamati”: raggiunti dal Vangelo, toccati nel profondo.
  • Giustificati”: dichiarati giusti grazie al sangue di Cristo.
  • Glorificati”: già partecipi della gloria futura, così certa da essere scritta al passato.

Questa catena è indistruttibile. È la stessa fiducia che Paolo esprime in Filippesi 1:6:

“Colui che ha cominciato in voi un’opera buona la condurrà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù.”

E in 1 Tessalonicesi 5:24:

 “Fedele è colui che vi chiama; egli farà anche questo.”

Ma allora… davvero tutto coopera al bene? Anche le ferite? I fallimenti? Le situazioni non scelte? Paolo non dice che ogni cosa è buona, ma che ogni cosa viene intrecciata, guidata, lavorata da Dio. Come nella storia di Giuseppe, venduto dai fratelli, che alla fine disse:

“Voi avevate pensato del male contro di me, ma Dio ha pensato di convertirlo in bene…” (Genesi 50:20)

Attenzione però: non è una promessa per tutti. Paolo lo dice con chiarezza: è per “quelli che amano Dio, i quali sono chiamati secondo il suo disegno”. È una promessa per chi appartiene a Cristo. Per chi è stato chiamato, giustificato, trasformato dal Vangelo. È rivolta a un popolo amato, salvato per grazia. Come dice Efesini 1:

“Dio ci ha eletti… avendoci predestinati nel suo amore a essere adottati per mezzo di Gesù Cristo come suoi figli.” (Efesini 1:4-5)

E se oggi tu non sei sicuro di appartenere a questo popolo, se non sai ancora cosa credere o dove stai andando… sappi che questa chiamata è ancora aperta. Dio ti ama. Ti cerca. Ti invita a fidarti di Lui. E questa promessa può diventare anche tua.

E per te che già credi, forse oggi ti sembra che nella tua vita ci sia ancora qualcosa che non va. Ma proprio lì, Dio sta lavorando. Anche se non lo vedi subito, ti sta formando per renderti simile a Gesù. E già ora, anche nelle difficoltà, “il nostro uomo interiore si rinnova di giorno in giorno” (2 Corinzi 4:16).

Allora ti chiedo: ti fidi che Dio sta agendo anche adesso? Anche se non vedi risultati immediati? Anche se stai ancora aspettando? Forse oggi ti ritrovi in una pagina difficile della tua storia. Hai pregato, ma non hai ricevuto risposte. Ti sei fidato, ma nulla sembra cambiare. E ti chiedi: “Dio, dove sei?”.

Paolo oggi ci ha ricordato tre verità fondamentali:

  • La sofferenza non è l’ultima parola: c’è una gloria che ci attende.
  • Non siamo soli: lo Spirito intercede anche nel nostro silenzio.
  • E Dio porta a compimento ciò che ha iniziato: ci sta formando a immagine di Cristo.

Allora, ti fidi di Lui? Anche se la pagina di oggi è faticosa? Anche se non hai parole da dire?

La tua storia non è finita. La penna è ancora nella mano di Dio. E quelle mani non tremano, non si stancano, non sbagliano.

Amen

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