Quando la grazia prende forma

19 Ottobre 2025

Daniele Scarabel

Daniele Scarabel

Pastore

Secondo voi, qual è il rischio più grande per un credente? Perdere la fede? Sbagliare? Cedere al peccato? Forse no. Forse il rischio più grande è parlare del Vangelo… senza lasciarsi trasformare dal Vangelo.

Ed è proprio qui che Paolo ci porta ora. Dopo undici capitoli densi di teologia, in cui ci ha fatto guardare al peccato dell’uomo, alla grandezza di Dio e alla sua misericordia, ora ci riporta nella vita quotidiana.

Per Paolo la fede non è semplicemente un’idea da discutere o un sentimento privato: è qualcosa che coinvolge tutto, mente, cuore e corpo. È anche per questo che, come motto dell’anno, abbiamo scelto: radicati nella grazia, trasformati dal Vangelo.

Perciò, la domanda che ci accompagnerà nei prossimi mesi sarà:

Se Dio mi ha mostrato così tanta grazia, come posso rispondergli con la mia vita?

Un modo nuovo di vivere

“Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, a presentare i vostri corpi in sacrificio vivente, santo, gradito a Dio; questo è il vostro culto spirituale. Non conformatevi a questo mondo, ma siate trasformati mediante il rinnovamento della vostra mente, affinché conosciate per esperienza quale sia la volontà di Dio, la buona, gradita e perfetta volontà.” (Romani 12:1-2)

Con le parole “Vi esorto dunque”, Paolo ci ricorda che, alla luce di tutto ciò che ha detto nei capitoli da 1 a 11, per un cristiano c’è ora un modo nuovo di vivere: fare la volontà di Dio.

Ma qual è la vera motivazione per un cristiano che obbedisce a Dio?

Molti, anche senza ammetterlo, obbediscono per paura, ma Paolo ci ricorda che la sola motivazione autentica è la misericordia di Dio.

E in che cosa consiste questa vita in Cristo?

Il primo punto è “presentare i vostri corpi in sacrificio vivente. Nell’Antico Testamento si offrivano animali. Ma ora il sacrificio è la nostra vita di ogni giorno: non qualcosa che muore, ma qualcosa che vive per Dio. Presentare i nostri corpi significa mettere tutta la nostra vita a disposizione di Dio: il tempo, le parole, le scelte, le relazioni.

E Paolo dice che questo è il nostro “culto spirituale”. Letteralmente in greco c’è scritto “culto logico”. In altre parole, l’unica risposta ragionevole alla misericordia di Dio è dare noi stessi a Lui in modo completo. Qualsiasi altra cosa sarebbe incoerente.

Ma attenzione: questo dare tutto noi stessi a Dio non comincia dalle nostre azioni, ma dal modo in cui pensiamo. Per questo Paolo aggiunge: “Non conformatevi a questo mondo, ma siate trasformati (lett.: lasciatevi trasformare) mediante il rinnovamento della mente”.

Quindi, non permettere che siano gli altri a dire chi sei o cosa conta davvero, ma lascia che Dio rinnovi il tuo modo di pensare. E questo avviene quando permettiamo allo Spirito Santo di insegnarci a guardare la vita con gli occhi di Cristo.

Pensa a quante volte ti è capitato di finire in un vortice di pensieri o di azioni negative. Come sei riuscito ad uscirne? Probabilmente solo dopo aver permesso nuovamente allo Spirito Santo di mostrarti la realtà della tua vita così come la vede Gesù.

È lì che scopriamo che la volontà di Dio è, in fondo, ciò che il nostro cuore desiderava davvero. Forse lo hai già vissuto anche tu: pensavi che seguire Dio ti avrebbe tolto qualcosa, e invece ti ha restituito pace. Ti sembrava una rinuncia e invece ti ha riportato nella libertà.

La volontà di Dio non si comprende tutta in una volta. Non possiamo aspettarci di capire tutto ciò che Lui vuole da noi in un solo istante. Per questo Paolo dice che la conosciamo per esperienza, mentre impariamo a lasciarci guidare da Lui nel cammino di ogni giorno.

Ma perché a volte questo non accade? Perché, invece di lasciarci trasformare, finiamo per conformarci di nuovo al mondo?

Paolo direbbe che accade quando perdiamo di vista la misericordia di Dio. Senza lo sguardo fisso sulla grazia, l’obbedienza diventa sforzo e la trasformazione si blocca. Quando smettiamo di ricordare ciò che Lui ha fatto per noi, il cuore si raffredda e la mente torna a ragionare come prima: cerchiamo approvazione, successo, sicurezza e ci adeguiamo al mondo.

Se ti accorgi di essere rimasto bloccato, conformandoti a questo mondo, forse è il momento di una scelta chiara: tagliare certi comportamenti o abitudini che ti allontanano da Dio.
Ma non fermarti lì. Torna a guardare alla sua misericordia.

Solo così la trasformazione diventa possibile: non guardando ai tuoi sforzi, ma tornando ogni giorno a fissare lo sguardo su Cristo.

Un modo nuovo di pensare sé stessi

La vita cristiana comincia con una risposta che cambia anche il modo in cui guardiamo a noi stessi e agli altri.

Ecco perché, subito dopo aver parlato di una mente rinnovata, Paolo aggiunge:

Per la grazia che mi è stata concessa, dico quindi a ciascuno di voi che non abbia di sé un concetto più alto di quello che deve avere, ma abbia di sé un concetto sobrio, secondo la misura di fede che Dio ha assegnata a ciascuno.” (Romani 12:3)

La trasformazione interiore si riflette anche nel modo in cui ci valutiamo. L’orgoglio è sempre in agguato, anche nei credenti. A volte si nasconde dietro la competenza, il ruolo o l’idea di sapere un po’ di più degli altri. Ma la mente rinnovata dallo Spirito ci porta all’opposto: a una visione sobria e realistica di noi stessi.

Per questo Paolo comincia dicendo: “Per la grazia che mi è stata concessa…”. È un apostolo, ma è come se dicesse: “Anch’io vivo solo di ciò che ho ricevuto”.

Il giusto modo di pensare a sé stessi è guardarsi con gli occhi della grazia: non troppo in alto, per non cadere nell’orgoglio, e non troppo in basso, dimenticando il valore che abbiamo in Cristo.

Ogni volta che permettiamo a Dio di rinnovare la nostra mente, accadono due cose:

  1. Smettiamo di chiederci se valiamo abbastanza. Iniziamo a vederci come persone amate da Dio.
  2. Allo stesso tempo, smettiamo però anche di vederci superiori agli altri, imparando a considerarci persone chiamate da Dio a servire gli altri.

In Filippesi 2, Paolo scrive qualcosa di molto simile:

“Non fate nulla per spirito di rivalità o vanagloria, ma ciascuno di voi, con umiltà, stimi gli altri superiori a sé stesso. Abbiate in voi lo stesso sentimento che è stato anche in Cristo Gesù.” (Filippesi 2:3-5)

E in che cosa consiste questo sentimento di Cristo? Nei versetti successivi Paolo spiega che Gesù, pur essendo Dio, rinunciò ai suoi diritti per amore, senza però dimenticare chi fosse: il Figlio di Dio.

Il cuore dell’umiltà cristiana non è pensare meno di sé, ma pensare meno a sé, per lasciare spazio all’amore. Guardando a Cristo impariamo che la vera grandezza non sta nel dimostrare di essere i migliori, ma nel servire con libertà, sapendo di essere amati.

E più il nostro pensiero si allinea al suo, più la nostra mente diventa sobria, libera e capace di vedere gli altri come dono, non come rivali.

Pensare con sobrietà, dice Paolo, significa anche riconoscere che non tutti abbiamo la stessa misura di fede o gli stessi doni, ma che ognuno riceve da Dio ciò che serve per compiere la propria parte nel corpo di Cristo.

Questo ci libera dall’invidia e dall’arroganza, perché ci ricorda che la fede stessa è un dono distribuito da Dio, non un merito di cui vantarsi. Ciò che conta non è quanto abbiamo ricevuto, ma come mettiamo a frutto ciò che Lui ci ha affidato.

E forse è qui che la Parola di Dio ci provoca oggi:

Come sto pensando a me stesso? Vivo cercando di farmi notare, o ricordando che ciò che sono è dono di Dio? Riesco a vedere anche negli altri la stessa grazia che Dio ha avuto verso di me?

Solo così nasce una comunità capace di vivere nella grazia, dove ognuno serve con libertà, rispetto e gioia, sapendo che tutto viene da Dio e tutto è per Lui.

Un modo nuovo di vivere insieme

E proprio da qui Paolo prosegue. Dopo aver parlato del pensiero sobrio, ora ci porta a guardare al corpo di Cristo, dove la grazia non è solo ricevuta, ma condivisa.

Poiché, come in un solo corpo abbiamo molte membra e tutte le membra non hanno una medesima funzione, così noi, che siamo molti, siamo un solo corpo in Cristo, e, individualmente, siamo membra l’uno dell’altro. Avendo pertanto doni differenti secondo la grazia che ci è stata concessa, se abbiamo dono di profezia, profetizziamo conformemente alla fede; se di ministero, attendiamo al ministero; se d’insegnamento, all’insegnare; se di esortazione, all’esortare; chi dà, dia con semplicità; chi presiede, lo faccia con diligenza; chi fa opere di misericordia, le faccia con gioia. (Romani 12:4-8)

Dopo aver parlato della mente rinnovata, Paolo mostra come questa trasformazione prende forma nella vita comune dei credenti. Come in un organismo vivente, ogni parte è necessaria e nessuna può dire all’altra: “Non ho bisogno di te”.

Siamo un solo corpo in Cristo, ma con molte funzioni diverse: una diversità voluta da Dio, che fa parte della bellezza stessa della Chiesa. Ognuno ha un posto, un dono, una responsabilità.

E Paolo ci ricorda che tutto parte dalla “grazia che ci è stata concessa”. Non scegliamo noi i nostri doni, li riceviamo. È Dio che decide come manifestare la sua grazia attraverso di noi. Per questo nessuno può vantarsene e nessuno deve sentirsi inutile.

E se la Chiesa è il corpo, Cristo è il Capo. Da Lui tutto riceve vita, direzione e senso. Quando restiamo connessi a Lui, anche la nostra diversità trova armonia.

Paolo qui elenca alcuni doni, ma il suo scopo non è creare una lista esaustiva. Vuole ricordarci che la grazia prende forma nel servizio. Che ogni dono, anche il più nascosto, ha valore agli occhi di Dio.

Il segno di una mente rinnovata è un cuore disposto a servire. E questo non vale solo per chi ha un ministero ufficiale o un ruolo visibile. Può essere un gesto di accoglienza, un ascolto sincero, un aiuto pratico, una parola che incoraggia. Ogni volta che mettiamo qualcosa di noi al servizio degli altri, la grazia ricevuta diventa grazia condivisa.

In 1 Corinzi 12, Paolo lo dice in modo simile:

“Ora vi è diversità di doni, ma vi è un medesimo Spirito. Vi è diversità di ministeri, ma non vi è che un medesimo Signore.” (1 Corinzi 12:4–5)

Non si tratta quindi di avere “un ministero” da difendere, ma di vivere la logica del dono. Tutto quello che siamo e facciamo appartiene a Dio e serve al bene comune.

Allora, mentre concludiamo questo brano, la domanda che rimane è semplice ma profonda:

Sto mettendo in gioco il dono che Dio mi ha dato per il bene degli altri, o lo tengo per me? E come posso oggi contribuire a far crescere questo corpo di cui faccio parte?

Essere trasformati dal Vangelo significa anche questo: lasciare che la grazia che abbiamo ricevuto scorra attraverso di noi… per la gloria di Dio e per la benedizione degli altri.

Conclusione

Abbiamo visto come la misericordia di Dio non si ferma alle parole, ma cambia la vita. Ci invita a offrire noi stessi, a pensare con umiltà e a vivere come un solo corpo in Cristo.

Chiediti: sto lasciando che la grazia di Dio prenda forma in me e attraverso di me?

Quando la grazia ci raggiunge davvero, non ci lascia mai uguali. La misericordia che riceviamo si riversa sugli altri, e ogni gesto della nostra vita diventa un atto di lode a Dio.

Amen

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