Schiavi… ma di chi?

Daniele Scarabel
Pastore
Preparando questo messaggio, mi è tornata in mente la storia del popolo d’Israele in Egitto. Erano schiavi, con la schiena piegata, le mani consumate dalla sabbia e dai mattoni. Ogni giorno uguale all’altro. Nessuna speranza. Solo ordini. Solo frustate.
Poi Dio interviene e li libera. Finalmente liberi! Pronti a entrare nella terra promessa. Ma al Sinai, Dio dà loro dei comandamenti. E forse qualcuno ha pensato: “Un momento… non ci ha appena liberati dalla schiavitù? E ora ci dà nuove regole? Non è che abbiamo solo cambiato padrone?”.
Dio ha liberato Israele dall’Egitto, come ha liberato anche noi in Cristo dal peccato. Ma diciamocelo: a volte vivere da cristiani sembra solo cambiare tipo di schiavitù. Prima facevi quello che volevi. Adesso? Solo fatica. Rinunce. Regole.
E magari ti chiedi: “Ma era davvero questa la libertà che Dio prometteva?”
Ma, in Romani 6, Paolo mette subito in chiaro che la vera domanda non è se siamo schiavi o liberi, ma di chi siamo schiavi. Perché, volenti o no, qualcuno lo stiamo servendo sempre.
La libertà non è l’assenza di limiti, ma avere il padrone giusto. E solo uno ti ama abbastanza da dare la vita per te.
Scegli chi servire
Che faremo dunque? Peccheremo forse perché non siamo sotto la legge ma sotto la grazia? No di certo! Non sapete voi che se vi offrite a qualcuno come schiavi per ubbidirgli, siete schiavi di colui a cui ubbidite: o del peccato che conduce alla morte o dell’ubbidienza che conduce alla giustizia? (Romani 6:15-16)
Paolo riprende una domanda simile a quella di Romani 6:1, ma in modo ancora più diretto: “Se siamo salvati per grazia e non siamo più sotto la legge… allora possiamo anche peccare, tanto Dio perdona, no?”. Non è una domanda teorica. Tocca la nostra motivazione più profonda: perché vivere in modo santo se non dobbiamo più “ubbidire per essere salvati”?
Paolo non si limita a dire “no”, ma spiega: nessuno è davvero senza padrone. L’immagine che usa è forte: è quella di una persona che si presenta davanti a un altro per servirlo, come chi si mette a disposizione per essere usato, guidato, comandato.
E Paolo la rende ancora più chiara parlando di schiavitù: non si tratta di un volontario o di un collaboratore, ma di qualcuno che appartiene completamente al proprio padrone. Ecco il punto: o siamo schiavi del peccato o dell’ubbidienza. Non c’è una terza via.
La vera domanda non è: “Posso continuare a peccare?” Ma: “Chi sto servendo oggi?” Perché tutti serviamo qualcosa o qualcuno: il successo, l’approvazione degli altri, il controllo, il comfort, la pornografia, la rabbia, la paura… Anche Gesù l’ha detto chiaramente:
Chi commette il peccato è schiavo del peccato… ma se il Figlio vi farà liberi, sarete veramente liberi. (Giovanni 8:34-36)
Anche le nostre emozioni possono diventare padroni. E persino chi dice “sono libero” spesso serve solo un padrone con un nome più elegante. Chi prende le tue decisioni quando nessuno ti guarda? Cosa ti dà senso, identità, sicurezza? E se ti venisse tolto… chi saresti davvero?
Paolo ci mette in guardia da un modo sbagliato di vivere la grazia.
Come nella parabola del figlio prodigo: quel giovane che prende l’eredità, se ne va, sperpera tutto. Poi torna a casa e viene accolto con una festa. È la perfetta immagine della grazia. Ma immagina che, dopo qualche anno, gli venga un pensiero: “E se lo rifacessi? Scappo, spreco tutto… poi torno e mi rifanno la festa.”
Sembra assurdo. Ma è proprio il ragionamento che Paolo denuncia: “Tanto Dio perdona.” “Non sarò mai perfetto.” “È il suo mestiere.” Ma se pensi così, non stai più vivendo da figlio… stai solo manipolando il Padre. E in realtà, stai di nuovo servendo il peccato e te ne accorgiamo dai suoi frutti: frustrazione, senso di vuoto, stanchezza spirituale
A volte il peccato si presenta come la scelta più “pratica”: una piccola bugia a lavoro per coprirsi, uno sfogo di rabbia perché “te lo sei meritato”, un click sul telefono quando nessuno vede. Ma chi stiamo servendo in quel momento?
La grazia ti ricorda che sei stato comprato a caro prezzo, con il sangue di Cristo (1 Corinzi 6:20). Alla croce, Gesù non solo ha pagato per i tuoi peccati, ma ha spezzato il potere del peccato su di te (Colossesi 2:14-15). Ora puoi scegliere di offrirti a Dio, con l’aiuto dello Spirito Santo, che ci rende capaci di dire “no” al peccato e “sì” alla giustizia (Galati 5:16).
La vera libertà non è fare quello che vogliamo. È volere ciò che Dio vuole. È appartenere a un padrone che non ci sfrutta, ma ci ama. Che non ci controlla, ma ci libera. Alla fine, il padrone che scegli determina la direzione della tua vita. E con lui, anche il frutto che ne raccoglierai.
Obbedisci con il cuore
Ma sia ringraziato Dio perché eravate schiavi del peccato ma avete ubbidito di cuore a quella forma d’insegnamento che vi è stata trasmessa; e, liberati dal peccato, siete diventati servi della giustizia. Parlo alla maniera degli uomini, a causa della debolezza della vostra carne; poiché, come già prestaste le vostre membra a servizio dell’impurità e dell’iniquità per commettere l’iniquità, così prestate ora le vostre membra a servizio della giustizia per la santificazione. (Romani 6:17-19)
Dopo averci sfidati a scegliere chi servire, Paolo cambia tono. Ora guarda ai credenti di Roma con gratitudine. Ringrazia Dio, perché il cambiamento nella loro vita è iniziato da Lui. Sono stati liberati dal peccato, e questo non per sforzo personale, ma per grazia.
E come è avvenuto questo cambiamento? Paolo dice che hanno ubbidito di cuore a un insegnamento ben preciso: non in modo superficiale, ma con una fede sincera, trasformata dallo Spirito Santo. L’immagine è forte: come metallo fuso che prende la forma dello stampo. Si sono lasciati modellare dal Vangelo e questo ha lasciato un’impronta profonda nella loro vita.
Anche noi, se abbiamo creduto davvero in Cristo, non abbiamo solo accettato nuove idee. Ci siamo lasciati raggiungere, plasmare, cambiare dalla Parola di Dio.
Il peccato ci viene naturale. Servire Dio, invece, è una scelta quotidiana. Non si tratta solo di correggere due abitudini, ma di cambiare padrone. La fede non è un elenco di regole, ma una verità che entra nel cuore e ci trasforma da dentro.
Paolo sa che parlare di “schiavitù” anche nella vita cristiana può sembrare forte, ma lo fa per chiarire che la vera libertà in Cristo ha bisogno di una direzione.
Ed è qui che introduce l’immagine delle “membra”: prima le prestavamo al peccato, ora dobbiamo offrirle alla giustizia. Sta parlando di ciò che facciamo con il nostro corpo: mani, occhi, bocca, pensieri, reazioni.
In pratica: se prima usavamo la bocca per ferire, ora possiamo usarla per incoraggiare. Se prima gli occhi cercavano ciò che non ci apparteneva, ora possono guardare con purezza. Se prima le mani erano strumenti di egoismo, ora possono servire.
Questo è il significato di “santificazione”: una vita che, passo dopo passo, viene trasformata per assomigliare sempre di più a Cristo.
Mi viene in mente il giorno in cui ho preso la patente. Ero gasato all’idea di guidare da solo. Ho chiesto a mio padre di lasciarmi l’auto per andare a trovare mio zio in ospedale… ma in realtà volevo farmi il mio primo viaggio in libertà.
Sfrecciavo sull’autostrada tutto contento. Ma dopo poco ho capito una cosa: quella libertà esiste solo dentro un sistema di regole. Semafori, limiti, precedenze. Senza quelle, non c’è libertà, c’è solo caos.
Allo stesso modo, essere servi della giustizia non vuol dire tornare in gabbia, ma vivere in armonia con ciò che siamo già in Cristo. Come dice anche 2 Corinzi 3:18:
…siamo trasformati nella sua stessa immagine, di gloria in gloria, come per lo Spirito del Signore.
Non è sforzo umano. È lo Spirito che ci plasma giorno dopo giorno, rendendoci simili a Gesù.
Perciò chiediti: chi o cosa ti sta formando oggi? Il Vangelo o la cultura? Le serie che guardi, i commenti che leggi online, le persone che segui sui social… o la Parola di Dio? Ti stai lasciando modellare da Dio… o solo cercando di contenere il peccato?
Offrirsi a Dio vuol dire consegnare ogni parte di te stesso per diventare chi sei già in Cristo. E non sto parlando di teoria. Parlo di scelte vere: il martedì mattina, il venerdì sera, quando sei stanco, ferito o frustrato.
È lì che si vede chi comanda davvero nella tua vita.
Coltiva il frutto giusto
Perché quando eravate schiavi del peccato, eravate liberi riguardo alla giustizia. Quale frutto dunque avevate allora? Di queste cose ora vi vergognate, poiché la loro fine è la morte. Ma ora, liberati dal peccato e fatti servi di Dio, avete per frutto la vostra santificazione e per fine la vita eterna; perché il salario del peccato è la morte, ma il dono di Dio è la vita eterna in Cristo Gesù, nostro Signore. (Romani 6:20-23)
Paolo conclude con una domanda diretta: “Quale frutto avevate allora?”. La risposta è chiara: quando servivamo il peccato, ci sembrava di essere liberi. Ma era solo una libertà vuota, senza direzione, che ha prodotto ferite, disordine interiore, vergogna e morte.
Paolo è onesto: “Di queste cose ora vi vergognate”. E forse anche tu, guardando indietro nella tua vita, vedrai scelte, atteggiamenti, relazioni, modi di pensare di cui oggi ti vergogni. Non perché siamo migliori… ma perché Cristo ci ha aperto gli occhi.
Magari una relazione tossica in cui sei rimasto pur di non sentirti solo. O quel periodo in cui credevi che lavorare senza limiti o fare festa ogni fine settimana ti avrebbe reso felice. E invece ti ha lasciato più vuoto. “La loro fine è la morte”, dice Paolo.
Non è solo morte biologica. È una morte che inizia già ora: relazioni spezzate, pace che svanisce, gioia che si spegne, identità che si sgretola. Ma la fine è ancora più drammatica: è la separazione eterna da Dio. Il peccato ci promette libertà… ma alla fine ci lascia in rovina.
Come cambia la vita con Cristo? Cambia che ora, in Cristo, siamo “liberati dal peccato e fatti servi di Dio”. Non siamo semplicemente usciti da una vecchia vita, ma siamo entrati in una nuova relazione. Essere servi di Dio non è tornare sotto un giogo pesante. È scoprire una libertà che ha uno scopo: vivere per Colui che ci ha riscattati.
E se viviamo per Dio, Paolo dice che avremo “per frutto la vostra santificazione e per fine la vita eterna”. Ovvero desideri che cambiano. Attitudini che si ammorbidiscono. Priorità che si trasformano. Ad esempio, quando offri a chi non può ricambiare, quel gesto parla del tuo nuovo padrone. È un piccolo frutto di santificazione.
Non tutto in una volta. Ma qualcosa comincia a crescere. La santificazione non è istantanea, ma è inevitabile per chi è in Cristo. E tu? Riesci a vedere qualche segno di crescita nella tua vita? Magari piccolo, ma reale? Una reazione diversa. Un pensiero che cambia. Un desiderio nuovo.
Quando Paolo parla di “vita eterna”, non intende solo il paradiso dopo la morte. Parla di una vita diversa che comincia già ora, nel momento in cui ci arrendiamo a Cristo. È la vita vissuta nella comunione con Dio, per mezzo di Cristo, nello Spirito Santo.
Una vita che cresce quando perdoni, dici la verità, resisti alla tentazione, ami chi non se lo merita e servi con gioia. Non è un premio lontano, ma una realtà presente che ci trasforma già oggi e che giungerà alla perfezione quando trascorreremo la piena comunione con Dio nell’eternità. Non serve essere santi perfetti. Serve cominciare. Con una scelta alla volta.
Alla fine del capitolo 6 Paolo riassume con una frase centrale tutto il suo discorso: “perché il salario del peccato è la morte, ma il dono di Dio è la vita eterna in Cristo Gesù, nostro Signore”.
Paolo usa un’immagine forte: quella del salario. Il peccato paga. Non subito. Ma paga sempre. È come un datore di lavoro che ti promette molto, ma poi ti sfrutta… e alla fine ti paga con distruzione, solitudine, morte.
Ma Dio non paga, dona. Il contrasto è totale: Il peccato ti paga ciò che meriti, Dio invece ti dona ciò che non potrai mai guadagnarti.
E questo ci mette davanti a una scelta concreta. Perché ognuno di noi, ogni giorno, sta raccogliendo qualcosa. Allora chiediti: che frutto stai coltivando nella tua vita oggi? Le tue scelte, le tue abitudini, i tuoi pensieri… ti stanno portando verso la vita o verso la morte?
Questa settimana, prova a identificare un ambito concreto in cui stai ancora servendo il padrone sbagliato. Magari è il modo in cui reagisci a una critica. O come gestisci il tempo libero. Oppure è la tua relazione con il denaro, con il perfezionismo, con la pornografia, o con il bisogno di controllo.
O forse è il modo in cui reagisci quando ti senti trascurato. Ti chiudi? Ti vendichi in silenzio? Oppure cerchi di agire con misericordia come Cristo, anche se fa male?
Non devi affrontare tutto insieme. Comincia con un’area. Solo una. Qual è quella più urgente per te, oggi? Poi chiediti: “Che frutto sta portando questa cosa nella mia vita? E dove mi sta portando?”
Fai un passo. Parla con qualcuno. Cambia un’abitudine. Disiscriviti da qualcosa o elimina un’app dal telefono, se serve. Scegli un’alternativa che rifletta il nuovo padrone a cui appartieni. E ricordati: non sei solo. La grazia che ti ha salvato è la stessa che ti cambia (Filippesi 2:13).
Come Israele dopo l’Egitto, anche noi siamo stati liberati non per vagare nel deserto, ma per entrare in una terra promessa. Una vita con Dio. Vera, santa, piena di frutto e con una chiara direzione: la vita eterna.
Non limitarti a “credere” nella grazia. Vivila. Fino in fondo. Ogni giorno. Con la fiducia che Dio completerà l’opera che ha iniziato in te.
Amen