Se nessuno parla, chi potrà credere?

7 Settembre 2025

Daniele Scarabel

Daniele Scarabel

Pastore

Negli ultimi mesi, con i miei figli Matteo e Lias abbiamo vissuto una cosa curiosa. Entrambi hanno traslocato: uno nel Canton Zurigo, l’altro nel Canton Grigioni. Hanno fatto tutto come si deve, hanno annunciato la partenza al comune, hanno cambiato indirizzo… eppure continuano ad arrivare lettere indirizzate a loro nella nostra buca delle lettere.

Proprio la settimana scorsa Lias stava aspettando una comunicazione importante dall’assicurazione dopo un suo infortunio. La lettera non arrivava mai. Quando siamo tornati dalle vacanze, ecco che l’abbiamo trovata noi, a casa nostra.

E mi sono detto: una lettera può essere importantissima, ma se non arriva nelle mani giuste, se non viene aperta, non serve a nulla.

Ecco, Paolo in Romani 10 ci dice che il Vangelo è proprio così: è un messaggio personale da parte di Dio. Ma perché produca frutto, deve essere annunciato chiaramente e deve essere accolto personalmente.

Senza annuncio non c’è fede

Paolo ci pone una domanda che dovrebbe scuoterci:

Ora, come invocheranno colui nel quale non hanno creduto? E come crederanno in colui del quale non hanno sentito parlare? E come potranno sentirne parlare, se non c’è chi lo annunci? E come annunceranno se non sono mandati? (Romani 10:14-15a)

Vedete la sequenza? Per invocare il Signore bisogna credere; per credere bisogna ascoltare; per ascoltare serve qualcuno che annunci; e per annunciare bisogna essere mandati. Questa non è però solo una sequenza logica, è il modo scelto da Dio per trasmettere il suo amore.

E poi Paolo cita Isaia:

“Quanto sono belli i piedi di quelli che annunciano buone notizie!” (Romani 10:15b)

Quelle parole nascevano in un tempo di esilio: il popolo attendeva la liberazione e all’orizzonte arrivava il messaggero che gridava pace, salvezza, ritorno. I suoi piedi, per quanto polverosi e feriti, erano splendidi perché portavano una notizia che cambiava la vita.

Un po’ come il postino che arriva a casa nostra: non importa se mi fa sorridere quando passa in pantaloncini e maglietta anche quando nevica. Conta che ci porta i pacchi giusti, con gentilezza e addirittura fino alla porta di casa, anche se non sarebbe obbligato… La bellezza non è nel messaggero, ma nella notizia che porta.

Questo ci toglie ogni scusa: non serve essere perfetti o grandi oratori, basta condividere con semplicità ciò che Cristo ha fatto per noi. Perché, se la fede nasce dall’ascolto, allora ogni volta che restiamo zitti davanti a chi non conosce Gesù, un anello della catena si spezza. Non perché Dio sia limitato, ma perché ha scelto di servirsi della nostra voce, dei nostri piedi.

E allora la domanda diventa personale: chi ha bisogno di sentire la tua voce questa settimana? Non serve preparare un discorso perfetto: può bastare condividere una parola che ti ha incoraggiato, raccontare cosa significa per te seguire Cristo o invitare qualcuno al culto. Non lasciare che il timore ti blocchi: Dio non ti chiede di convincere, ma solo di aprire bocca.

Certo, ci sentiamo spesso inadeguati: “E se non so rispondere? E se mi giudicano?”. Ma Paolo non dice: “Come crederanno se non c’è chi spiega tutto?”, dice: “Se non c’è chi annuncia”. Non conta la perfezione del messaggero, conta la fedeltà. E quando ci sentiamo deboli, ricordiamo che non siamo soli: è il Padre che ci manda, è il Figlio che annunciamo ed è lo Spirito Santo che apre i cuori!

Se il Vangelo resta custodito solo nei nostri pensieri, non produrrà frutto. Ma se lo condividiamo, la verità di Cristo può liberare chi lo ascolta. E allora, nella settimana che inizia, lasciamoci mandare di nuovo, non a conquistare il mondo intero, ma a fare piccoli passi concreti: una conversazione sincera, un invito al culto, una preghiera offerta a chi ne ha bisogno.

Il primo e più grande Messaggero è Cristo stesso, che ha percorso la strada fino a noi. Ora lo Spirito Santo ci chiama a percorrere qualche passo verso gli altri.

Senza risposta non c’è salvezza

Paolo continua dicendo:

Ma non tutti hanno ubbidito alla buona notizia; Isaia infatti dice: “Signore, chi ha creduto alla nostra predicazione?”. (Romani 10:16)

Il problema non è solo la mancanza di messaggeri, ma la mancanza di fede. Il Vangelo non è solo da ascoltare, è da obbedire. Perciò Paolo aggiunge:

Così la fede viene da ciò che si ascolta, e ciò che si ascolta viene dalla parola di Cristo. (Romani 10:17).

La fede non è un vago sentimento religioso: nasce dal contatto con la Parola di Cristo, “vivente ed efficace, più affilata di qualunque spada a doppio taglio” (Ebrei 4:12). È una Parola che raggiunge e trasforma. Poi Paolo anticipa un’obiezione:

Ma io dico: forse non hanno udito? Anzi, “la loro voce è andata per tutta la terra e le loro parole fino agli estremi confini del mondo”. (Romani 10:18)

Citando il Salmo 19, ricorda che nessuno può dire di non aver mai sentito nulla: già al tempo degli apostoli “la Parola di Dio si diffondeva e cresceva potentemente” (Atti 6:7; 19:20). Il problema non è la mancanza del messaggio, ma la mancanza di risposta.

C’è una storia curiosa accaduta a Neyruz, nel Canton Friburgo. Due donne abitano nello stesso palazzo e hanno lo stesso nome e cognome. Potete immaginare la confusione: estratti conto, referti medici, lettere private finiscono regolarmente nelle mani dell’altra. E quando i dati non sono chiari, la Posta rimanda la lettera al mittente con la scritta: “due identici nomi, stesso indirizzo”. In pratica, tante lettere non arrivano mai davvero a destinazione.

La fede non è automatica: non basta ascoltare, bisogna accoglierla dicendo: “Sì, Signore, credo che sei morto e risorto per me”. Così era per Israele: avevano ricevuto la lettera di Dio, ma non l’hanno aperta. E anche oggi: Dio ci dice “Ti amo, ti perdono, ti salvo in Cristo”, ma se quella lettera resta chiusa, non cambia nulla. La sfida diventa personale: non basta aver ascoltato tante volte il Vangelo. La domanda è: “Ho risposto? Ho aperto quella lettera che Dio mi ha mandato?”.

Qui Paolo ci ricorda che il Vangelo può essere ascoltato eppure rifiutato. Israele ha avuto profeti, segni, promesse… e molti hanno indurito il cuore. La fede non nasce da un’esposizione razionale, ma da un incontro interiore che solo lo Spirito può suscitare.

Come chiesa non possiamo limitarci a proclamare: siamo chiamati ad accompagnare. Questo significa sedersi accanto a qualcuno che ha dubbi, leggere insieme un brano della Bibbia, pregare con chi non osa ancora farlo da solo. Quante volte un fratello o una sorella ha iniziato un cammino di fede semplicemente perché qualcuno ha avuto il coraggio di dire: “Vuoi che leggiamo insieme questo Vangelo?”.

Non si tratta di forzare o spingere, ma di camminare insieme con amore, fino a che quella persona apra la “lettera” che Dio gli ha mandato.

A volte il seme rimane nascosto a lungo sotto la terra e noi non vediamo nulla. Ma Dio è fedele: al momento giusto farà germogliare la vita. Questo ci libera dal senso di colpa quando qualcuno rifiuta e dall’illusione di poter convertire con le nostre forze. Come ricorda Paolo: “Chi pianta e chi annaffia non sono nulla: Dio fa crescere” (1 Corinzi 3:7). Noi non possiamo dare la vita, ma Dio sì.

Senza scuse davanti a Dio

Paolo porta il discorso ancora più a fondo:

Allora dico: forse Israele non ha compreso? Mosè per primo dice: “Io vi renderò gelosi con una nazione che non è nazione; provocherò il vostro sdegno con una nazione senza intelligenza”. (Romani 10:19)

Il problema non era che Israele non avesse capito. Israele conosceva, ma ha scelto di non obbedire. Già Mosè aveva annunciato che Dio avrebbe usato un popolo “non-popolo”, i gentili, per provocare Israele alla gelosia. In altre parole: Dio stava allargando i confini del suo amore.

Poi Paolo cita nuovamente Isaia:

“Sono stato trovato da quelli che non mi cercavano; mi sono manifestato a quelli che non chiedevano di me.” (Romani 10:20)

Quelli che non cercavano Dio, l’hanno trovato. Quelli che non chiedevano nulla, hanno ricevuto tutto. Questa è la logica della grazia: Dio si lascia trovare da chi non se lo aspettava. È la storia dei pagani che hanno accolto Cristo, ed è la storia di tanti di noi. Non eravamo noi ad andare in cerca di Dio, ma è stato Lui a cercare noi.

È quello che Gesù racconta nella parabola del gran convito (Luca 14:15–24): gli invitati rifiutano, trovano scuse, si tirano indietro… e allora il padrone manda i servi nelle strade e lungo le siepi per invitare poveri, storpi, ciechi, zoppi, e persino chi non pensava di avere un posto a tavola. Quelli che non cercavano nulla si ritrovano al convito. E la sala si riempie di gioia.

Infine, Paolo conclude con un’immagine commovente tratta da Isaia:

Ma riguardo a Israele afferma: “Tutto il giorno ho teso le mani verso un popolo disubbidiente e contestatore”. (Romani 10:21).

Il rifiuto è reale… ma non è definitivo. Dio non chiude le braccia. Le tiene ancora aperte, tese verso Israele. È l’immagine di un Padre che aspetta con pazienza, che non smette di desiderare che i suoi figli tornino a Lui. Il rifiuto di Israele è reale, ma ancora più reale è la perseveranza dell’amore di Dio.

Anche Paolo non chiude qui la storia. Nei capitoli che seguono ci mostrerà che Dio ha un piano anche per il futuro di Israele. Perché l’ultima parola non è mai il rifiuto dell’uomo, ma la fedeltà di Dio. Paolo non si limita a constatare la ribellione del suo popolo: nel versetto iniziale del capitolo ha detto che “il desiderio del mio cuore e la mia preghiera a Dio per loro è che siano salvati” (Romani 10:1).

E proprio qui Paolo ci mostra la via: non smettere di pregare. Anche noi siamo chiamati a non mollare nella preghiera: per Israele, ma anche per le persone che ci stanno a cuore. Forse un figlio lontano, un familiare che respinge la fede, un amico che ti prende in giro.

In generale significa che dobbiamo imitare il cuore di Dio. Continuare a tendere le mani, anche verso chi ci respinge. Non smettere di pregare per chi rifiuta, non chiudere la porta a chi ci ha detto di no. Continuare ad amare, ad accogliere, a testimoniare con pazienza.

Non arrenderti: resta con le mani tese come Dio. Perché a volte la testimonianza più potente non sono le parole, ma l’amore che persevera nella preghiera. Ricorda che le mani di Dio tese verso di noi sono quelle di Cristo sulla croce.

Conclusione

Paolo ci ha ricordato tre verità decisive: senza annuncio non c’è fede, senza risposta non c’è salvezza, e davanti a Dio nessuno ha scuse. Dio parla, Dio invita, Dio tende le mani.

Quelle mani tese verso Israele sono le stesse mani che Cristo ha aperto sulla croce per accogliere ciascuno di noi. E ora il Signore ci chiama a imitarlo: a tenere le mani tese, nella preghiera, nell’amore, nell’annuncio, finché la sua casa non sia riempita di gioia.

La domanda allora è semplice e personale: a chi oggi sei chiamato a tendere le tue mani? Un familiare? Un amico? Un vicino? Non aspettare di sentirti pronto: resta disponibile, resta con le mani aperte. Perché Dio non si arrende, e vuole usare anche te.

Amen

Altri sermoni

Quando Dio scrive la nostra storia

Quando Dio scrive la nostra storia

Hai mai avuto la sensazione che la tua vita non stia andando come avevi immaginato? Che qualcosa ti sia sfuggito di mano, o forse che qualcun altro stia scrivendo la tua storia… ma non nel modo che speravi? C’è chi guarda alla propria vita e vede solo una serie di...

Dio ci prepara una casa per sempre

Dio ci prepara una casa per sempre

La santificazione non è un progetto fai-da-te. Scopri perché non basta conoscere la legge per cambiare davvero… e come lo Spirito Santo rende possibile una vita nuova.

Nessuna condanna in Cristo

Nessuna condanna in Cristo

Ricordiamoci dell'ultima predica da un Paolo quasi disperato, che rifletteva sulla sua vita e doveva dire: «Non faccio il bene che voglio, ma il male che non voglio. Me infelice! Come posso stare davanti a Dio?». Dopo, nell'ultimo versetto del capitolo precedente,...