Frustrazione o frutto? Solo lo Spirito fa la differenza

8 Giugno 2025

Daniele Scarabel

Daniele Scarabel

Pastore

Oggi è Pentecoste, e ricordiamo un dono incredibile: lo Spirito Santo. Non un’idea astratta, ma la presenza viva di Dio… in noi. È Lui che ci rende capaci di vivere per Dio, ogni giorno.

Eppure, se siamo onesti, quante volte facciamo fatica a sperimentare la sua potenza? Anche con le migliori intenzioni, anche conoscendo la Bibbia, cadiamo negli stessi errori. Ci impegniamo… ma ci sentiamo svuotati. Come mai?

Il capitolo 7 di Romani ci aiuta a capire questa tensione. Paolo ci mostra che la legge, da sola, non basta. Anzi, può diventare un peso, se non è accompagnata dallo Spirito. Ci mostra che la vita cristiana non è una questione di sforzi, ma di relazione. Solo quando apparteniamo a Cristo e camminiamo nello Spirito possiamo portare vero frutto.

Romani 7 non è un testo facile, ma è sincero. Ci mostra quanto il peccato sia radicato in noi. Ma proprio lì si apre la porta a qualcosa di nuovo: la vita nello Spirito che Paolo descriverà poi dettagliatamente nel capitolo 8.

Morti alla legge per appartenere a Cristo

O ignorate forse, fratelli (poiché parlo a persone che hanno conoscenza della legge), che la legge ha potere sull’uomo per tutto il tempo che egli vive? Infatti la donna sposata è legata per legge al marito mentre egli vive; ma se il marito muore, è sciolta dalla legge che la lega al marito. Perciò, se lei diventa moglie di un altro uomo mentre il marito vive, sarà chiamata adultera; ma se il marito muore, ella è libera da quella legge; così non è adultera se diventa moglie di un altro uomo. Così, fratelli miei, anche voi siete stati messi a morte quanto alla legge mediante il corpo di Cristo, per appartenere a un altro, cioè a colui che è risuscitato dai morti, affinché portiamo frutto a Dio. Infatti, mentre eravamo nella carne, le passioni peccaminose, risvegliate dalla legge, agivano nelle nostre membra allo scopo di portare frutto per la morte; ma ora siamo stati sciolti dai legami della legge, essendo morti a quella che ci teneva soggetti, per servire nel nuovo regime dello Spirito e non in quello vecchio della lettera. (Romani 7:1-6)

Qui Paolo sta ancora rispondendo alla domanda di Romani 6:15: “Possiamo peccare, visto che non siamo più sotto la legge?”. E lo fa con un’immagine potente: il matrimonio. La logica che segue è: in un matrimonio, finché il marito è in vita, la moglie gli è legata.

Come la morte scioglie il vincolo matrimoniale, così la nostra morte con Cristo ci libera dalla legge. Ma attenzione: il Vangelo non ci lascia “single”, liberi di vivere come ci pare. Paolo è chiarissimo: siamo stati liberati dalla legge… ma per appartenere a qualcun altro. A Cristo, risorto dai morti. E da questa unione nasce il frutto spirituale.

O appartieni alla legge o appartieni a Cristo. “Mentre eravamo nella carne”, ovvero prima di conoscere Cristo, il peccato sfruttava la legge per produrre “frutto per la morte” (v.5). Questa è una dinamica che conosciamo bene anche da credenti: più ti sforzi di fare tutto bene solo con le tue forze, più ti senti schiacciato. La legge, da sola, non solo non ci salva, non ci porta nemmeno alla santificazione. Anzi, può aumentare la frustrazione.

Ma ora, dice Paolo, “siamo stati sciolti dai legami della legge” (v.6). Non per vivere senza guida, ma per servire Dio “nel nuovo regime dello Spirito”. Questa è la chiave del cambiamento: non si tratta più di obbedire per dovere, ma di lasciarci aiutare dallo Spirito per rispondere all’amore di Cristo.

Immagina due matrimoni: uno in cui fai solo il minimo per non deludere, e uno in cui ami profondamente e vuoi dare il meglio. Solo nel secondo potrà crescere vero amore. Così è anche nella vita cristiana. Lo Spirito cambia la nostra motivazione: non più paura o pressione, ma gratitudine e gioia. È Lui che ci rende capaci di portare frutto, come dice Gesù in Giovanni 15:5:

Chi rimane in me e io in lui, porta molto frutto.

Forse sei cresciuto con l’idea che “Dio ti ama se ti comporti bene”. Ma questo non è il Vangelo. Il Vangelo è che Dio ti ha unito a Cristo prima che tu portassi alcun frutto. Ora, se rimani in Lui, il frutto verrà. Il frutto non nasce dallo sforzo, ma dalla relazione.

Alla fine, la domanda è semplice: appartieni ancora a un sistema di regole… o a una persona che ti ama? Fermati un attimo e pensa: cosa ti spinge a fare il bene? È il senso del dovere? Il timore di deludere Dio? O è la gratitudine per quello che Cristo ha fatto per te?

Magari vivi una fede fatta di “checklist spirituali” … come un matrimonio dove si fanno le cose ma manca la gioia. Invece, l’unione con Cristo parte da ciò che sei, non da ciò che fai. È la consapevolezza che sei già amato, già accolto, già perdonato. E che da questa certezza nasce il desiderio di vivere per Lui. Non per guadagnarti qualcosa, ma perché hai già ricevuto tutto.

Chiediti: sto vivendo “da sposato con la legge”, cercando di fare il bravo per sentirmi approvato oppure sto sperimentando la libertà e la gioia di chi vive nello Spirito, unito a Cristo?

Il peccato si risveglia alla voce della legge

Che diremo dunque? La legge è peccato? No di certo! Anzi, io non avrei conosciuto il peccato se non mediante la legge; infatti non avrei conosciuto la concupiscenza, se la legge non mi avesse detto: «Non concupire». Ma il peccato, colta l’occasione per mezzo del comandamento, produsse in me ogni concupiscenza; perché senza la legge il peccato è morto. Un tempo, io vivevo senza legge; ma, venuto il comandamento, il peccato prese vita ed io morii; e il comandamento che era inteso a darmi vita risultò che mi condannava a morte. Perché il peccato, colta l’occasione per mezzo del comandamento, mi trasse in inganno, e per mezzo di quello mi uccise. (Romani 7:7-11)

Dopo aver detto che siamo morti alla legge per appartenere a Cristo, Paolo anticipa un ulteriore obiezione: “Allora la legge è peccato?” No di certo! Il problema non è la legge, ma il peccato che abita in noi. La legge è buona, ma il peccato la sfrutta per farci del male.

Paolo mostra due funzioni fondamentali della legge: la legge definisce e risveglia il peccato.
Finché non c’è un chiaro comandamento, il peccato c’è ma resta invisibile. Ma quando arriva la legge, non solo capiamo cos’è il peccato, ma ci accorgiamo di quanto è vivo dentro di noi.

È un po’ come dire a un bambino: “Non toccare quel vaso!”. Prima non ci avrebbe fatto nemmeno caso. Ma appena lo proibisci, qualcosa scatta: Perché no? E se lo facessi?. Il divieto, che dovrebbe proteggere, finisce per risvegliare proprio il desiderio di trasgredire. Così fa il peccato con la legge: la sfrutta per spingerci nella direzione opposta.

Paolo dice: “Un tempo vivevo senza legge, ma poi il peccato prese vita ed io morii”. Come fariseo conosceva le regole, ma finché le prendeva solo alla lettera, pensava di essere a posto. Poi ha capito che Dio guarda più in profondità, guarda il cuore.

A proposito, questo brano ha fatto discutere molto: Paolo parla di sé prima di conoscere Cristo? Di ogni essere umano? O del credente in crisi? Io credo che stia parlando proprio del credente che, pur volendo piacere a Dio, si affida ancora alle proprie forze. E finisce in frustrazione. Per questo, nel capitolo 8, ci mostrerà la soluzione: vivere secondo lo Spirito.

Paolo ci dice che il comandamento che lo ha smascherato è: “Non concupire”. Questo, a differenza degli altri comandamenti, non vieta solo l’azione, ma il desiderio. E chi può dire di non aver mai desiderato qualcosa in modo egoistico o invidioso?

La legge scava nel profondo e ci mostra quanto bisogno abbiamo di grazia, sia prima di essere credenti, sia ora. Il peccato si nutre del nostro sforzo di salvarci da soli. Più ci provi, più fallisci. Più ti impegni per essere giusto, più ti senti frustrato.

Paolo arriva addirittura al punto da affermare: “Il peccato mi trasse in inganno” (v.11). Come? Facendogli credere che bastasse obbedire esteriormente. Ma quando la Parola ci colpisce davvero, ci smaschera. E ci accorgiamo che il problema non è solo quello che facciamo, ma quello che siamo dentro.

A volte il problema non è solo desiderare qualcosa di sbagliato. È desiderarlo proprio perché è proibito. È quella ribellione sottile che dice: “Nessuno mi dice cosa devo fare”. Come quando sai che dovresti perdonare, ma dentro senti: “No, lui non se lo merita”. È l’anima che, in fondo, vuole restare padrona di sé, indipendente da Dio.

E tu? Come leggi oggi i comandamenti di Dio? Come una lista di doveri da spuntare per sentirti a posto? O come uno specchio che ti mostra dove hai bisogno di grazia? Ti è mai capitato di pensare: “Non ho fatto nulla di grave…”, e poi una parola, una reazione o un pensiero ti ha smascherato, rivelando orgoglio, invidia o durezza?

Non scoraggiarti. È proprio questo lo scopo della legge: portarci al punto in cui smettiamo di giustificarci e iniziamo a cercare davvero Gesù. Magari c’è un’area della tua vita dove la fede si è ridotta a una facciata: fai tutto “giusto”, ma manca la gioia. Vivi per dovere, ma non per amore. Se è così, non restare lì. Ammetti il bisogno. E poi corri a Cristo. È lì, solo lì, che inizia davvero la vita nello Spirito.

Il peccato usa la legge per tirare fuori il peggio di noi

Così la legge è santa, e il comandamento è santo, giusto e buono. Ciò che è buono diventò dunque morte per me? No di certo! Ma è il peccato, affinché si mostrasse peccato, producendo la morte in me mediante ciò che è buono, affinché, mediante il comandamento, il peccato diventasse estremamente peccaminoso. (Romani 7:12–13)

Dopo aver mostrato l’inganno del peccato e il conflitto che ne nasce, Paolo fa una precisazione essenziale: la legge non è il problema. Il vero nemico non è la legge, ma il peccato che abita in noi e si serve perfino di ciò che è buono per farci del male.

È un’affermazione forte: il peccato è talmente perverso e ingannevole da usare perfino la Parola di Dio contro di noi. Ti è mai capitato di leggere la Bibbia o ascoltare una predica e sentirti schiacciato, accusato? Non perché fosse sbagliato il messaggio, ma perché dentro di te si è accesa una voce che diceva: Non sei all’altezza. Dio è deluso di te. È lì che si vede quanto il peccato sappia manipolare anche ciò che è giusto e santo. Ma quella non è la voce dello Spirito. È la voce della condanna, della menzogna, della paura.

Se usiamo la legge per giustificarci, per sentirci migliori o per costruire la nostra identità spirituale… allora finirà per schiacciarci. Non perché la legge sia cattiva, ma perché il peccato la trasforma in strumento di morte.

È questo che Paolo intende quando scrive che il peccato, mediante il comandamento, “divenne estremamente peccaminoso” (v.13). La legge non crea il peccato, ma lo smaschera nella sua vera natura. Ne mostra la gravità. Il problema non è il cartello “Vietato calpestare le aiuole”: è che, vedendolo, dentro di noi nasce subito il desiderio di calpestarle.

Cercare di usare la legge per migliorarci con le nostre forze ci lascia vuoti. È come avere una mappa per salire in montagna. Ma invece di usarla, te la appendi al collo… e pensi che basti tenerla addosso per arrivare in cima. Ma così… ti perdi.

Forse conosci questa tensione: vuoi piacere a Dio, ma più ti sforzi, più fallisci. Ti impegni… ma ti senti sempre in debito. Forse il problema non è il tuo impegno, ma l’approccio. Quando vivi cercando di essere “all’altezza”, sei ancora sotto la pressione della legge. Ma quando vivi sapendo di essere già amato in Cristo, allora finalmente sei libero.

Dato che oggi è Pentecoste, cosa significa allora vivere nella libertà dello Spirito? Significa partire ogni giorno da quello che Cristo ha già fatto, non da ciò che devi ancora fare. Significa smettere di chiederti: “Come posso essere migliore?”, e iniziare a chiedere: “Spirito Santo, dove vuoi portarmi oggi?”

Ecco dove nasce il cambiamento. Non da regole. Ma dalla relazione. Non dal dovere, ma dalla consapevolezza che Dio ti ama. Già adesso.

In sintesi: la legge ci mostra il peccato, ma non ci libera da esso. Il peccato ci inganna, anche usando ciò che è buono. Ma in Cristo, siamo morti alla legge e uniti a Lui per portare frutto. Solo lo Spirito ci dà una vita nuova, autentica, libera.

E allora la domanda è semplice, ma profonda: vuoi continuare a sforzarti da solo, o vuoi camminare nella libertà dello Spirito?

Non ti servono grandi propositi. Né promesse esagerate. Ti basta una preghiera sincera…

“Signore, riempimi di nuovo con il tuo Spirito. Non voglio vivere per dovere, ma per amore. Cambia il mio cuore, guida i miei passi. Rendimi libero. Rendimi tuo.”

Amen

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