Qual è la tua identità?

24 Febbraio 2021

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Daniele Scarabel

Daniele Scarabel

Pastore

Poi si dissero l’un l’altro: «Venite, tiriamo a sorte e sapremo per causa di chi ci capita questa disgrazia». Tirarono a sorte e la sorte cadde su Giona. Allora gli dissero: «Spiegaci dunque per causa di chi ci capita questa disgrazia! Qual è il tuo mestiere? Da dove vieni? Qual è il tuo paese? A quale popolo appartieni?» Egli rispose loro: «Sono Ebreo e temo il SIGNORE, Dio del cielo, che ha fatto il mare e la terraferma». Allora quegli uomini furono presi da grande spavento e gli domandarono: «Perché hai fatto questo?» Quegli uomini infatti sapevano che egli fuggiva lontano dalla presenza del SIGNORE, perché egli li aveva messi al corrente della cosa. (Giona 1:7-10)

La domanda “cosa fai nella vita?” viene solitamente fuori abbastanza velocemente durante una conversazione con una persona che incontriamo per la prima volta. È come se l’identità di una persona fosse strettamente legata alla sua occupazione. Chiedere a qualcuno qual è il suo lavoro, dove abita e da dove viene è un modo diretto e concreto per chiedere: “chi sei?”.

Cosa risponderesti tu a questa domanda? Cosa ti caratterizza maggiormente e cosa fa di te ciò che sei? O in altre parole: qual è la tua identità?

La ricerca del colpevole

Poi si dissero l’un l’altro: «Venite, tiriamo a sorte e sapremo per causa di chi ci capita questa disgrazia». Tirarono a sorte e la sorte cadde su Giona. (Giona 1:7)

I marinai si resero presto conto che, nonostante la loro abilità in mare e la loro conoscenza del vento e delle onde, si trovavano in una crisi che era al di fuori del loro controllo. Avevano percepito che la tempesta doveva essere di origini soprannaturali e la conseguenza logica fu di cercare chi fosse il colpevole.

Così decisero di tirare a sorte, come era uso nella loro cultura superstiziosa, e la sorte cadde su Giona. Trovo interessante che Dio usò questo metodo pagano per confrontare Giona con il proprio peccato.

A volte accade anche nella nostra vita che sono dei non credenti a renderci attenti ai nostri peccati. Certamente non è piacevole essere ripresi in quel modo, ma se Dio lo fa è sempre per il nostro bene e trova sempre un modo per confrontarci con le nostre mancanze.

Come reagisci se un tuo collega di lavoro ti confronta con la tua arroganza? Se un tuo parente non credente ti fa notare la tua incoerenza tra la tua dichiarazione di fede e il tuo comportamento? Ricordo una volta quando ero in viaggio con la mia vecchia auto con l’adesivo del pesce. Dopo aver fatto un sorpasso azzardato in autostrada, l’altro automobilista mi ha fatto segno di aver visto il pesce. Mi sono vergognato per il resto del viaggio…

Quante volte siamo anche noi come Giona? L’uomo che pensava che il popolo di Ninive fosse troppo peccaminoso per poter parlare loro della misericordia di Dio, si rese colpevole a sua volta di ribellione peccaminosa.

A ognuno di noi può capitare di cadere in peccati dovuti ai nostri profondi bisogni insoddisfatti. Ma come successe a Giona, non possiamo sperare di poter fuggire dalla presenza di Dio nascondendoci sotto coperta con il nostro peccato. È molto meglio portare alla luce il peccato prima che diventi troppo grande e che la vergogna ci impedisca di confessarlo:

Confessate dunque i vostri peccati gli uni agli altri, pregate gli uni per gli altri affinché siate guariti; la preghiera del giusto ha una grande efficacia. (Giacomo 5:16)

Personalmente ho 2-3 persone alle quali confesso i miei peccati e ho sempre fatto l’esperienza che aprirsi a qualcuno è un potente aiuto per interrompere il potere che il peccato esercita su di me. Non aspettare che Dio sia costretto a portare alla luce il tuo peccato, liberatene prima!

Se Dio permette che un tuo peccato venga alla luce può essere veramente imbarazzante. Soprattutto se era un peccato grave e pesante che tenevi nascosto da tanto tempo. Ma tutto dipende da come reagisci poi. Hai due possibilità: indurire ulteriormente il tuo cuore e allontanarti ancora di più da Dio oppure umiliarti di fronte a Dio e permettergli di ristabilirti.

Chi sei realmente?

Allora gli dissero: «Spiegaci dunque per causa di chi ci capita questa disgrazia! Qual è il tuo mestiere? Da dove vieni? Qual è il tuo paese? A quale popolo appartieni?» (Giona 1:8)

Sembrano domande un po’ strane da fare in una situazione come quella. Ricordiamoci che nel frattempo il vento ruggiva e il mare infuriava intorno a loro, avranno dovuto urlare per farsi capire. Sono domande che solitamente si fanno a qualcuno che si incontra la prima volta per conoscersi meglio. Sono le tipiche domande da small talk per iniziare una conversazione.

Credo che Giona avrebbe voluto fare tutt’altro che rispondere a quelle domande. Se fossi stato al suo posto la prima cosa che mi sarebbe passata per la testa sarebbe stata: “Cosa ci faccio qui? Come ho potuto pensare di fuggire dalla presenza di Dio?”.

È come se al lavoro commetti un errore veramente grosso dovuto alla tua negligenza e cerchi di insabbiarlo. Poi però il capo ti scopre e ti dice: “Da te che dici a tutti di essere cristiano non me lo sarei proprio aspettato…”. È quella brutta situazione nella quale ci ritroviamo quando cerchiamo di adeguarci al mondo pur sapendo che avremmo dovuto agire diversamente.

I marinai, tuttavia, non fecero queste domande a Giona per pura curiosità. Il loro obiettivo era di capire quale dio Giona aveva fatto arrabbiare, in modo da poter determinare quale sarebbe stato il prossimo passo per placare la sua ira. Non avevano bisogno di chiedergli direttamente quale dio avesse offeso, perché nel loro modo di ragionare l’identità di una persona era strettamente legata a ciò che uno adora.

Oggi potremmo essere tentati di pensare che la gente moderna non crede più negli dei, anzi la maggior parte delle persone si dichiara atea. Sarebbe però un errore credere che non ci sia più alcun legame tra ciò che uno adora nella sua vita e la sua identità.

Certo, noi sappiamo che non esistono divinità legate alla professione, al luogo d’origine o alla razza d’appartenenza. Non esiste ad esempio il dio romano chiamato Mercurio, il dio del commercio al quale uno dovrebbe offrire sacrifici per avere successo. Eppure nessuno negherebbe che il profitto finanziario possa diventare un dio, un fine ultimo indiscusso sia per la vita individuale che per un’intera società.

Non esiste nemmeno Venere, la dea romana della bellezza, o Eros il dio greco dell’amore e del sesso, eppure vediamo come molti uomini e donne sono ossessionati dall’immagine del corpo o sono schiavi di un’idea irrealizzabile di appagamento sessuale. Noi tutti abbiamo bisogno di aggrapparci a qualcosa su cui costruire la nostra identità.

La Bibbia ci spiega perché: siamo stati fatti a “immagine di Dio” (Genesi 1:26-27). Essere a immagine di Dio significa che l’essere umano non è stato creato per riuscire da solo. È una caratteristica innata dell’uomo che deve cercare di ottenere significato e sicurezza da qualcosa di esterno, perché è così che Dio ci ha creati. Siccome siamo però stati creati a sua immagine, troveremo la nostra vera identità solo se viviamo con lui e per lui. Altrimenti saremo alla costante ricerca di qualcosa al quale aggrapparci per dare un senso alla nostra vita.

Il pericolo di un’identità spirituale superficiale

Egli rispose loro: «Sono Ebreo e temo il SIGNORE, Dio del cielo, che ha fatto il mare e la terraferma». (Giona 1:9)

Ecco che finalmente Giona iniziò a parlare. Però, sebbene la domanda “A quale popolo appartieni?” fosse l’ultima, Giona rispose dapprima a questa. Le sue prime parole furono “Sono Ebreo”. In un testo così parsimonioso di parole, è significativo che egli inverta l’ordine e metta la sua razza come la parte più significativa della sua identità.

Mentre è fuori discussione che Giona credesse in Dio, sembra che la sua fede non fosse così profonda e fondamentale per la sua identità come lo erano razza e nazionalità. Questo spiega molte cose del comportamento di Giona.

Se il fatto di essere Ebreo era per lui più fondamentale per la sua immagine di sé rispetto alla sua fede, possiamo capire come mai Giona fosse così riluttante a predicare il ravvedimento nella città di Ninive. Chiamare persone di altre razze e nazioni alla fede in Dio era una prospettiva terribile per uno con un’identità spirituale così superficiale.

Sfortunatamente, anche molti cristiani mostrano simili atteggiamenti. Quanti si dichiarano cristiani senza che la loro relazione con Dio in Cristo sia scesa abbastanza in profondità nel loro cuore? Proprio come nella vita di Giona, Dio e il suo amore non sono lo strato più fondamentale della loro identità.

Puoi ad esempio credere sinceramente che Gesù è morto per i tuoi peccati, eppure il tuo significato e la tua sicurezza possono essere molto più basati sulla tua carriera e sul tuo conto in banca che sull’amore di Dio attraverso Cristo.

Un’identità cristiana superficiale spiega come mai una persona che si dichiara cristiana può essere allo stesso tempo razzista, avida e materialista, dipendente dalla bellezza e dal piacere, ansiosa o incline a lavorare troppo.

Tutto questo avviene perché troppo spesso anche nella nostra vita non è l’amore di Dio per noi a definire la nostra identità, bensì il potere, l’approvazione, le comodità e il controllo che possiamo trovare nel mondo, che sono le vere radici della nostra identità.

Giona conosceva la verità su Dio, infatti disse “temo il SIGNORE, Dio del cielo, che ha fatto il mare e la terraferma”. Perché allora fuggire da Dio? Se avesse veramente conosciuto Dio dal profondo del suo cuore, non avrebbe forse agito diversamente?

Un’identità superficiale è anche quella che ci impedisce di vedere veramente noi stessi. Vediamo Giona, un profeta di Dio con una posizione privilegiata all’interno del popolo di Dio, che è decisamente ottuso, egocentrico, bigotto e sciocco. Eppure non sembra affatto consapevole di ciò. Sembra più cieco rispetto ai suoi difetti di chiunque altro intorno a lui. Com’è possibile?

Il problema di Giona era che era orgoglioso della sua religiosità e basava la sua immagine di sé sui suoi risultati spirituali. Di conseguenza, era cieco di fronte ai suoi difetti e peccati, e ostile verso coloro che erano diversi da lui.

Sono convinto che Giona desiderasse sinceramente essere conosciuto come qualcuno che ama e serve Dio con tutto il cuore, ma il modo in cui si stava comportando mandava segnali contrastanti al mondo circostante.

Se come Giona basiamo la nostra identità su qualsiasi tipo di risultato, bontà o virtù, dovremo costantemente sforzarci a rinnegare la profondità dei nostri difetti e delle nostre mancanze. Non avremo un’identità abbastanza sicura da poter ammettere i nostri peccati, le nostre debolezze e i nostri difetti.

Qualsiasi identità basata sui propri risultati e sulle proprie prestazioni è un’identità insicura. Non si è mai sicuri di aver fatto abbastanza. E questo ci impedirà di trasmettere agli altri l’amore e la misericordia che Dio ha per noi.

Perché hai fatto questo?

Allora quegli uomini furono presi da grande spavento e gli domandarono: «Perché hai fatto questo?» Quegli uomini infatti sapevano che egli fuggiva lontano dalla presenza del SIGNORE, perché egli li aveva messi al corrente della cosa. (Giona 1:10)

Quando i marinai compresero la gravità della colpa di Giona furono presi dal terrore perché temevano la punizione di Dio. E così, ironia della sorte, furono proprio quei pagani senza timore di Dio a rimproverare il profeta che si stava ribellando a Dio.

Giustamente chiesero a Giona “Perché hai fatto questo?”, “come hai potuto essere così egoista e trascinarci in questo casino?”. Giona sapeva fin dall’inizio cosa stava facendo – sapeva che stava disubbidendo e fuggendo dalla presenza di Dio, anche se era un’azione del tutto irrazionale. Ma quando mai il peccato ha senso? Anche noi siamo ben consapevoli di ciò che stiamo facendo quando tentiamo di sfuggire alla presenza di Dio.

Quando fai finta di non conoscere Dio mentre sei con gli amici non credenti, non sai forse cosa stai facendo? Solo per poi sentirti dire: “E tu saresti un cristiano?”. Non è quello che succede quando scegli di non dichiararti cristiano sul posto di lavoro fino a quando qualche tempesta non si abbatte su di te e poi sei finalmente costretto ad ammettere la tua vera identità?

Normalmente, l’identità umana e l’autostima derivano dai nostri successi. Siamo orgogliosi di essere un professionista di successo, o siamo orgogliosi ad esempio di essere Svizzeri e di far parte di una nazione di così grande successo. Ma una tale identità è intrinsecamente fragile e instabile. Ha bisogno di un riconoscimento costante e di essere sostenuta.

Fondare la propria identità sui propri sforzi e risultati – anche quando ci sforziamo di dimostrare quanto amore abbiamo per Gesù – significa avere un’identità instabile e fragile. Saremo costantemente nel dubbio se siamo stati abbastanza bravi. Anche se avremo avuto – spiritualmente parlando – una buona settimana, avremo paura che la prossima settimana potrebbe andare nuovamente male.

Tuttavia, quando riponiamo la nostra fede in Cristo, siamo pienamente accolti e accettati da Dio sulla base della giustizia di Cristo, non della nostra (2 Corinzi 5:21). Siamo amati da Dio con amore incondizionato, siamo suoi figli e figlie, e questo pone la nostra auto-stima su un livello totalmente diverso.

Poiché la nostra certezza di essere amati non dipende dalle nostre prestazioni, abbiamo la libertà psicologica di fare ciò che Giona non ha potuto fare: guardare nel nostro cuore, riconoscere i nostri difetti e ammetterli (Romani 7:21-25). E così, nonostante la consapevolezza così accentuata della nostra peccaminosità, il cristiano non cade in depressione, perché sa di non dover guardare alla propria forza bensì a come Dio ci vede in Cristo.

Questa nuova comprensione di chi siamo in Cristo trasforma il modo in cui ci relazioniamo con le persone che sono diverse da noi. Avremo ancora gli stessi lavori, le stesse famiglie, le stesse origini, ma l’amore di Dio in Cristo è ora la fonte principale della nostra autostima.

Stiamo a poco a poco cominciando a vedere che Giona aveva un disperato bisogno della stessa misericordia di Dio che lui trovava così preoccupante condividere con i Niniviti. Ciò che fa di una persona un cristiano non è il nostro amore per Dio, che è sempre imperfetto, ma l’amore di Dio per noi.

Amen

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